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Come
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notiziario
mensile parrocchiale
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UNA
CHIESA CHE ABBIA LO STILE DI PIETRO
Il
mese scorso, complice maggio dedicato a Maria, vi invitavo a sognare
una chiesa che avesse lo stile di Maria, una chiesa che, come
Maria, accoglieva e custodiva nel suo cuore la Parola, anche quando
questa Parola non era immediatamente comprensibile, come avvenne
nel Tempio dove il dodicenne Gesù si era trattenuto all’insaputa
dei genitori.
In
questo mese di giugno che si conclude con la memoria delle “colonne”
della chiesa, gli apostoli Pietro e Paolo, vorrei invitarvi ad
essere una chiesa “petrina”, una chiesa che abbia lo stile di
Pietro. La chiesa che è anzitutto “mariana”, cioè realtà interiore
generata dallo Spirito di Gesù, è anche popolo convocato, è quindi
realtà storica che vive nel tempo. Non è “nono-stante” la chiesa,
ma è “grazie” alla chiesa che noi possiamo entrare in comunione
con Dio. Ecco perché dopo aver meditato sullo stile “mariano”
della chiesa dobbiamo meditare sullo stile “petrino” ovvero sulla
sua dimensione storica, istituzionale.
Affrontando
questo aspetto della chiesa sono consapevole della difficoltà
del tema. Bisogna riconoscerlo: questa dimensione talora pesantemente
materiale della chiesa fa problema, è per molti un ostacolo, un
diaframma ingombrante sul cammino dell’incontro con Dio. Quante
volte abbiamo sentito dire e forse anche noi abbiamo pensato:
Cristo sì, il suo Vangelo sì, ma la Chiesa no, il Vaticano, i
preti… no. Ci sono persone che amano sostare nella chiesa quando
essa è deserta, immersa nel silenzio mentre evitano la chiesa
quando è affollata, quando si è invitati a pregare e cantare insieme,
alzarsi e sedersi con tutti gli altri. Ci sono persone sinceramente
aperte al messaggio evangelico ma ostili al ruolo istituzionale
della Chiesa, quando essa appare una potenza finanziaria talvolta
disinvolta se non spregiudicata… Potremmo dire che queste persone
sono allergiche allo stile “petrino” della chiesa. Eppure a Pietro
Gesù ha affidato la custodia e la guida del gregge, a lui ha affidato
le chiavi del regno, lui è la pietra sulla quale è costruita la
chiesa.
Mi
lascio guidare in questa difficile meditazione dalle riflessioni
del cardinale Martini. Il principio “mariano” dell’interiorità
non solo non esclude anzi esige il principio “pe-trino”, principio
esteriore, organizzativo, costituito da strutture: «Il principio
petrino richiama la mediazione istituzionale, la varietà e la
complementarità dei ministeri, la ricchezza delle funzioni con
cui la fede della chiesa prende consistenza storica, manifesta
in una concreta vita comunitaria la misteriosa legge della comunione
con Cristo e dà forma e compimento alla missione verso l’uomo
e il mondo». Scrive ancora il cardinale Martini: «È vero che la
nostra fede deve esprimersi in decisioni forti, in opere iniziate
con serietà e condotte a termine con costanza in una inflessibile
opposizione a ogni ingiustizia dovunque essa si manifesti. Abbiamo
anche bisogno, per vivere davvero dell’evangelo, di rinunce chiare
e aperte a tante forme molli e dissipate del vivere attuale, di
disciplina rigorosa e di autocontrollo. Tutto ciò può anche comportare
una certa durezza nelle forme, inevitabile quando siamo tesi nell’impegno
di raggiungere un certo risultato. La Chiesa assicura la sua compattezza,
che esprime e protegge la fede dei singoli, anche mediante una
forte organizzazione, la quale esige il rispetto di regole precise:
se questo non avviene, il “corpo del Signore” perde i suoi contorni
e si svilisce nella mediocrità dell’ambiente circostante».
Proprio questa ultima osservazione richiama il valore di tale
dimensione “petrina” in forza del legame che esiste tra coscienza,
interiorità e ambiente esteriore. Siamo tutti consapevoli del
carattere “situato” della nostra coscienza. Non c’è gesto della
coscienza che prescinda in tutto o in parte dalle condizioni entro
le quali la coscienza è collocata. Basti pensare al nostro modo
di reagire di fronte a un comportamento negativo, deviante: «Con
la famiglia che ha… con gli esempi ricevuti… con la situazione
di miseria, di abbandono…». Questi modi di dire esprimono la percezione
del legame tra comportamenti negativi e condizioni in cui il soggetto
è situato. Non c’è interiorità che sia totalmente al riparo dall’esteriorità,
cioè dall’ambiente. La nostra coscienza è come una spugna: assorbe
dall’ambiente in cui è collocata. Del resto, frequente è il rilievo
dell’influsso che la scuola, le compagnie, la strada, i mezzi
di comunicazione di massa, soprattutto la televisione, internet
esercitano sui nostri ragazzi. Ecco perché sulla via di una adeguata
formazione della coscienza occorre porre attenzione alle condizioni
concrete, storiche, ambientali nelle quali tale coscienza cresce.
Naturalmente
l’attenzione per le strutture non deve prevalere sui fini per
i quali tali strutture sono volute. Una volta, in una riunione
dei decani chiesero all’arcivescovo Martini: «Ma Lei crede nelle
strutture diocesane?». E il Cardinale: «Istintivamente risponderei:
Credo in Gesù Cristo, credo la Chiesa cattolica... A partire da
qui allora evidentemente non è che crediamo nelle strutture come
tali o ci giuriamo, ma cerchiamo di recepire il rapporto delle
strutture con la presenza di Cristo nella sua Chiesa».
Le
strutture sono quindi funzionali rispetto al fine essenziale della
chiesa che è quello di manifestare al mondo la luce che è Cristo.
A questo decisivo criterio vorrei che tutti ci ispirassimo nel
costruire la nostra parrocchia. È questa infatti la prima struttura
pastorale che sta particolarmente a cuore ai nostri vescovi. Parrocchia
vuol dire chiesa nella vita quotidiana, presso le case. Non quindi
una chiesa per pochi, per una élite che ha studiato, per gente
con doti particolari, ma chiesa accessibile a tutti e capace di
dialogare con tutti. Diceva Martini: «La parrocchia dice la possibilità
della “santità popolare” ovvero di un cammino di santità reso
possibile a tutti, nelle più diverse condizioni di vita proprio
grazie alle tradizionali strutture della chiesa: ciascuno, qualunque
siano i suoi doni di grazia e di natura, qualunque sia la sua
condizione sociale e umana, qualunque sia il suo carattere o la
sua storia, è chiamato a vivere la pienezza della grazia, la santità…
Su questo formidabile programma di azione pastorale, che è la
parrocchia, noi non ci stanchiamo di insistere: esso deve comandare
tutto l’impegno dei preti, dei laici, dei gruppi, dei movimenti,
dei consigli pastorali, dei catechisti. Parrocchia, chiesa tra
la gente, significa una chiesa vicina alle case, alle famiglie,
agli sposi, ai bambini; vicina ai ragazzi dell’Oratorio, ai giovani
dei gruppi giovanili; vicina agli anziani con il Movimento Terza
Età e ai sofferenti con le visite ai malati e vicina ai peccatori
con il sacramento della penitenza; vicina a tutti i cristiani
con la messa domenicale e il sacramento dell’eucaristia; vicina
ai neonati col sacramento del battesimo e a coloro che fanno le
prime scelte forti della vita col sacramento della Cresima». Una
chiesa, una parrocchia che abbia lo stile di Pietro dovrà prendersi
cura di una sobria ma necessaria forma di organizzazione.
Qui
mi limito a due esempi. Mi sembra apprezzabile la qualità delle
nostre celebrazioni liturgiche, ma se potessimo arrivare ad avere
per ogni celebrazione domenicale, anche per la messa delle 8.30
che è un po’ la cenerentola, due lettori, un animatore del canto
e magari anche uno o due ministranti (una volta si diceva chierichetti!!!)
la celebrazione potrebbe avere uno svolgimento meno approssimativo
e improvvisato. Un secondo esempio: la nostra parrocchia è già
molto attiva e ben organizzata per la cura dei ragazzi con le
molteplici attività dell’Oratorio e degli anziani con il gruppo
degli amici super-anta e le attività della Tenda. Vi è anche una
cura particolare per la preparazione al matrimonio. Non abbiamo,
invece, nessuna attenzione per il dopo-matrimonio, per le giovani
coppie in particolare. Abbiamo pensato di tentare un percorso
che favorisca l’incontro tra le giovani coppie. Proprio in questi
giorni abbiamo fatto un primo passo e quindici coppie hanno accolto
il nostro invito. Riprenderemo a settembre: anche questa sarà
una semplice e agile struttura, quasi un involucro per favorire
l’incontro, il dialogo, la formazione continua.
Due
esempi di una comunità che inventa qualche semplice struttura,
qualche leggera forma organizzata con l’unico desiderio di dire
a tutti l’evangelo e solo l’evangelo. Concludo, ancora in uno
stile petrino. In questi ultimi vent’anni la nostra comunità si
è avvalsa della preziosa collaborazione della signora Anna Mattea
e del signor Giuseppe Raudino. La prima ha curato con esemplare
rigore e precisione la parte amministrativa della parrocchia,
la contabilità, il bilancio. Il secondo, come segretario, ha provveduto
con indicibile dedizione ad una infinità di compiti: dal ricevere
le persone che richiedevano certificati o desideravano far celebrazioni
per i defunti, alla tenuta dei registri dell’archivio alla preparazione
dei fogli domenicali e del nostro Notiziario... e a tante altre
attività che hanno contribuito a fare della nostra parrocchia
luogo di accoglienza. Ora lasciano questo servizio e la nostra
gratitudine li accompagna: si sono fatti carico dello stile petrino
della nostra comunità. Un ultimo grazie a due gentili signore
che vogliono restare nell’anonimato e che hanno fatto dono al
nostro altare di due preziose tovaglie.
don
Giuseppe
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PERCHÈ DOBBIAMO DIRE GRAZIE
ALLO
STRANIERO CHE È TRA NOI
Dal
nuovo libro del cardinale Dionigi Tettamanzi, arcivescovo di Milano,
Non c’è futuro senza solidarietà. La crisi economica e l’aiuto
della Chiesa cogliamo alcuni stralci che offriamo alla vostra
riflessione.
Mi
verrebbe d’iniziare con l’antica citazione biblica: «Amate dunque
il forestiero, poiché anche voi foste forestieri nel paese d’Egitto»
(Deuteronomio 10,19). Come a dire, che il fenomeno migratorio,
sia pure in modalità e intensità diverse, accompagna sempre la
storia dei popoli.
E
che esso deve suscitare, come prima e più immediata forma di solidarietà,
la condivisione obiettiva di una medesima situazione. […] Ma qual
è la situazione da noi oggi, nelle nostre città e nei nostri paesi?
Potrei rispondere in termini quanto mai sintetici dicendo, anzitutto,
che troppe volte e con troppa insistenza negli ultimi tempi si
è pensato agli stranieri soltanto come a una minaccia per la nostra
sicurezza, per il nostro benessere.
Con
l’immediata conseguenza che il peso dei pregiudizi e degli stereotipi
hanno impedito un dialogo autentico con queste persone, finendo
per causare spesso il loro isolamento, relegandole così in condizioni
che hanno provocato e provocano illegalità e fenomeni di delinquenza.
Ma la realtà presenta anche un’altra faccia: noncuranti delle
tante e, troppe, eccessive polemiche, molte persone – in modo
silenzioso e nel nome della propria fede e di un alto senso umanitario
– hanno operato e continuano ad operare per assistere questi "nuovi
venuti" nei loro bisogni elementari: il cibo, un riparo o degli
indumenti, la cura dei più piccoli.
In
concreto, penso alla Caritas e alle sue molteplici emanazioni,
alla "Casa della Carità" in Milano, a quegli interventi delle
amministrazioni locali che hanno saputo distinguersi per intelligenza,
umanità e creatività. Penso al "buon cuore" anche di tanti semplici
cittadini e ai loro piccoli ma sinceri gesti di aiuto. Siamo così
di fronte a una solidarietà in atto, che si fa "dialogo" concreto:
un dialogo forse ancora troppo flebile – e per questo da incoraggiare
e da sostenere – ma che dice il riconoscimento della comune condizione
umana cui tutti, italiani e stranieri di qualsiasi etnia, apparteniamo.
Cade
qui una riflessione elementare, la cui forza razionale invincibile
conduce all’adesione, anche se poi la prassi, purtroppo, può divenirne
una smentita. Ci sono così tante "etnie" e "popoli" diversi, ma
tutte le etnie hanno la loro radice e il loro sviluppo nell’unica
etnia umana, così come tutti i popoli si ritrovano all’interno
del tessuto vivo e unitario dell’unica famiglia umana. […] Troviamo
qui l’approccio culturale nuovo che deve caratterizzare la nostra
valutazione e il nostro comportamento – certo nel segno della
solidarietà ora affermata – nei riguardi dei migranti.
Lo
indicavo così nel Discorso alla Città per la Vigilia di sant’Ambrogio
2008: «Occorre, con una visione complessiva del fenomeno, guardare
agli immigrati non solo come individui, più o meno bisognosi,
o come categorie oggetto di giudizi negativi inappellabili, ma
innanzitutto come persone, e dunque portatori di diritti e doveri:
diritti che esigono il nostro rispetto e doveri verso la nuova
comunità da loro scelta che devono essere responsabilmente da
essi assunti. La coniugazione dei diritti e dei doveri farà sì
che essi non restino ai margini, non si chiudano nei ghetti, ma
– positivamente – portino il loro contributo al futuro della città
secondo le loro forze e con l’originalità della propria identità».
Riprendendo ora la riflessione generale, vorrei riproporre qualche
spunto nel segno di una concretezza quotidiana e con un riferimento
più specifico alle due realtà della famiglia e del lavoro. Il
primo passo da compiere dovrebbe condurci a superare una paura:
quella che ci impedisce di riconoscere in pienezza l’uguale dignità
sul lavoro degli immigrati. In realtà, per non pochi di noi essi
sono visti come una minaccia, non solo perché considerati come
uomini e donne che disturbano la tranquillità del nostro quieto
vivere e del nostro paese, ma anche perché a noi "rubano" il lavoro.
E se invece vengono accolti, rischiano di essere trattati come
una forza lavoro a buon mercato, in particolare per quelle attività
che noi ci rifiutiamo di compiere perché ritenute troppo faticose
o poco dignitose. Ma, anche in mezzo a difficoltà e incomprensioni,
diverse forze sociali danno prova di solidarietà attiva con i
migranti, creando nuove forme di accoglienza e di inclusione sociale,
a cominciare dal lavoro.
Si
tratta di una testimonianza cristiana e civile forte in un contesto
di fin troppo facile contrapposizione. Una testimonianza non astratta
e fuori della storia, ma in grado di avviare un’integrazione all’insegna
della solidarietà e della legalità, che diventa dono per tutti
e risposta non secondaria alla domanda di sicurezza legittimamente
posta da città spaventate e non poco preoccupate, anche per i
segnali sconfortanti che vengono dalla cronaca quotidiana. Una
testimonianza che deve interpellare tutti e ciascuno. […] Non
è spontaneo per nessuno in queste occasioni rifarsi e ispirarsi
allo spirito più radicale del Vangelo e c’è per tutti il rischio
di chiudersi in una eccessiva preoccupazione di se stessi, che
ci fa scoprire sovente la nostra più grande miseria morale.
È
importante allora acquisire innanzitutto una reale conoscenza
della situazione e delle persone, nelle loro qualità positive,
nei loro limiti e nelle loro differenze. Solo così riscopriremo
gli aspetti positivi della loro nuova presenza, le risorse culturali
e religiose di cui sono portatori, la loro capacità di essere
protagonisti in diversi ambiti, non appena offriamo loro l’opportunità
di farlo. […] È onesto – ed è bello – riconoscere l’apporto che
tanti immigrati danno alla vita delle nostre città e, in termini
certo più ristretti ma quanto mai concreti ed efficaci, alla vita
delle nostre famiglie. Tanti – in assoluta prevalenza donne –
appena giunti in Italia da paesi stranieri si fanno carico – nelle
case degli italiani d’origine – dei servizi della casa, della
cura dei bambini, dell’assistenza agli anziani e malati.
Ed
è con spirito di ammirazione e di gratitudine che dobbiamo riconoscere
che queste stesse donne – le chiamiamo "badanti" – con i loro
figli sono le prime persone che pagano il costo di una separazione
forzata, dell’esclusione dai diritti, della privazione per se
stesse e per i propri familiari. Di conseguenza, come non chiedere
che – insieme ai vantaggi che vengono a noi dalla loro presenza
e attività – si giunga presto a riconoscere i loro giusti diritti
e a migliorare le loro condizioni di lavoro?
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AMMIRAZIONE
E SPERANZA
PER UNA SOLIDARIETÀ SAPIENTE E GENTILE
Tratto
da «Il Segno» di Giugno 2009, riportiamo il commento al libro
del Card. Tettamanzi Non c’è futuro senza solidarietà. La
crisi economica e l’aiuto della Chiesa dello scrittore giornalista
Gad Lerner.
Scritto
come un pensiero semplice, accessibile a tutti, questo libro del
Card. Tettamanzi si rivelerà infine al lettore come un denso trattato
di sapienza biblica. Sbaglieremmo infatti a separare la sua premessa
ispiratrice – l’urgenza del “fare”, il soccorso pratico a chi
è rimasto vittima della crisi economica – dall’ispirazione religiosa
che la anima. Comincia infatti nella notte di un Natale difficile
per i milanesi, questa bella avventura del Fondo Famiglia-Lavoro.
L’Arcivescovo lo motiva con l’esigenza di «fare memoria», cioè
trarre significato dall’avvenimento della nascita di Gesù. Mi
piace molto questo suo bisogno di «fare memoria» risolto nella
proposta di una esperienza di religione viva, naturalmente inserita
dentro il tessuto sociale e le sue sofferenze.
La
religione viva per fortuna esiste pure là dove uno meno se lo
aspetta ma necessita di essere accudita. Mi emoziona ogni anno,
circa a metà della lettura dell’Haggadah di Pesach che precede
la nostra cena pasquale, rileggere come vi è formulato con estrema
precisione il precetto biblico della immedesimazione: «In ogni
generazione ciascuno deve considerare se stesso come se fosse
uscito dall’Egitto… Infatti Dio santo e benedetto non ha liberato
soltanto i nostri padri, ma, con loro, ha liberato anche noi».
Ne consegue – come ricorda il Cardinale a pagina 101 – che l’immedesimazione
non possa riferirsi solo ai discendenti per stirpe: «Amate dunque
il forestiero, perché anche voi foste forestieri nel paese dell’Egitto»
(Dt 10, 19). La pratica di una solidarietà sapiente e gentile
vede oggi la Chiesa ambrosiana prodigarsi oltre una concezione
selettiva e particolaristica dei poveri meritevoli di assistenza.
Né la nazionalità, né l’appartenenza religiosa, né lo status giuridico
possono essere d’impedimento a soccorrere un bisognoso. Vi sono
diritti umani e sociali di cui devono essere riconosciuti titolari
anche coloro che in base alla cittadinanza non godono di diritti
politici.
Pur
da strenuo difensore del principio universalistico del Welfare
europeo – così difficile da applicare in tempi di crisi, specialmente
per le deformazioni che subisce in Italia – guardo con ammirazione
e speranza al proliferare della “solidarietà fai da te” cui l’iniziativa
del cardinale Tettamanzi ha dato un rilievo pubblico senza precedenti.
Solo là dove si pratica l’accoglienza e la relazione con le persone
in difficoltà troviamo ancora un laboratorio di riflessione culturale
sulle politiche sociali: penso all’esperienza della Casa della
Carità di Milano, che dovrebbe essere studiata e replicata dalle
istituzioni pubbliche se solo la politica non tendesse a rimuovere
questa possibilità per timore di perdere consensi.
Così
il “manifesto” del cardinale Tettamanzi ci conduce a riflettere
sul modello economico entrato in crisi, sugli stili di vita che
oggi non reggono più, ma che già ieri generavano malessere e disuguaglianza.
Egli ci propone un’interpretazione religiosa del tempo presente
alla luce del Vangelo. Non mi scandalizza il fatto che altri la
contestino. Ma sarebbe bello che rispondessero con altrettanta
concretezza alle domande di aiuto che emergono dalla società.
Le persone che vivono interiormente una dimensione di spiritualità,
quasi sempre sono tra le più capaci nel rendersi utili. Leggendo
questo libro si capisce il perché.
Gad
Lerner
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ABITARE
IL QUARTIERE DA CITTADINI ANZIANI
Sabato
18 aprile u.s. operatori e volontari della Tenda hanno festeggiato
il primo anno di attività condividendo una occasione formativa
per verificare insieme come “il sogno” stia diventando realtà
nel nostro vivere quotidiano.
Ha
introdotto i lavori il dott. Mario Berti presidente della Commissione
Servizi Sociali del Consiglio di Zona 3: ha apprezzato l’esperienza
della Tenda e ha invitato gli operatori ad una presentazione pubblica
del lavoro in Consiglio di Zona in quanto è un’esperienza tra
le più significative della nostra zona di un lavoro “per e con
gli anziani”.
La
dott.ssa Luisa Anzaghi, già dirigente del Settore Anziani e ora
dirigente del Settore Disabili del Comune, ha presentato “il cerchio”
dei servizi sociali che vede al centro proprio la persona anziana.
Un percorso circolare che va dai colori chiari per i servizi più
leggeri ai colori più scuri per gli interventi più complessi che
riguardano le situazioni di maggior fragilità. La politica sociale
del Comune di Milano è sempre indirizzata a realizzare servizi
il più possibile vicini alla vita quotidiana delle persone anziane
così da permettere ad ogni persona di stare il più a lungo possibile
nella propria casa. Riprendendo poi alcuni passaggi del Piano
di Zona della città Luisa Anzaghi ha ribadito che è importante
da un lato continuare a pensare a interventi nei quali gli anziani
siano risorsa nel tessuto sociale e non solo destinatari di servizi
e progetti, dall’altro in una città complessa come Milano è importante
sostenere e promuovere l’abitare dell’anziano nella propria casa
e nel proprio quartiere. La casa infatti è il luogo della normalità
della vita nella quale conservare la propria storia, i propri
affetti, le proprie radici.
La
Tenda si colloca dunque in modo appropriato nella politica sociale
del Comune proprio perché vuole essere un servizio “per e con”
gli anziani; anche la sua collocazione è significativa: uno spazio
in mezzo alle case, con un accesso sulla pubblica via e una porta
aperta a tutti.
La
dott.ssa Carla Gaddi, psicologa, già dirigente del Servizio Vigilanza
dell’ASL Città di Milano, ha proposto dapprima alcune osservazioni
sul piano sociologico. Il privilegio di invecchiare oggi è ancora
riservato ai popoli benestanti mentre è sconosciuto nei paesi
del terzo e quarto mondo. Ci accorgiamo inoltre che nelle grandi
città che esiste uno squilibrio generazionale: molti anziani pochi
giovani.
Successivamente
ha indicato alcune prospettive significative di lavoro. Tornare
a fare comunità – è questo uno dei primi significati della Tenda
– la comunità non si realizza spontaneamente, occorre costruirla,
svilupparla da un progetto. Certo si parte dalla città e dal quartiere,
ma non è sufficiente per avere una comunità: si tratta di costruire
la comunità tenendo insieme tanti aspetti del vivere civile, tante
relazioni, tante idee, tanti gesti concreti di solidarietà.
La
relazione e la creazione di relazioni è un altro aspetto specifico
della Tenda: forse occorre partire meno dai bisogni e più dai
desideri, occorre proporsi all’altro con un’intenzione di incontro
e attendere che l’altro accolga questa relazione. Si tratta di
non manipolare l’anziano con la sua fragilità, ma di far emergere
il suo desiderio e la sua aspettativa di incontro. L’attesa dell’altro
poi non va delusa. L’operatore o il volontario, presi da mille
cose, possono far saltare quell’appuntamento, ma l’anziano che
spesso vive solo in attesa di quell’incontro si rattrista, perde
il desiderio. Nella relazione e in particolare nella relazione
d’aiuto è importante l’ascolto che è fatto anche di silenzio,
di scambio empatico, non di imposizioni, ma di condivisione, di
incrocio di desideri e scambio di ricordi. Sono queste relazioni
che danno un futuro anche a noi stessi come volontari perché attraverso
il nostro impegno ci diamo una prospettiva di vita, possiamo frequentare
insieme un ideale di bellezza che allarga l’orizzonte e il cuore.
Per questo è importante che la Tenda accanto al tema del prendersi
cura di chi è più fragile, conservi la caratteristica di essere
uno spazio di cultura, di ricerca ed espressione del bello.
La
presenza di don Giuseppe e di don Paolo all’incontro è stata l’occasione
per condividere una riflessione sul significato della Tenda che
può essere un piccolo tassello importante nella costruzione della
comunità.
Giancarlo
Pometta, Emiliano Bellingeri e Loris Benedetti
UN
AVVISO IMPORTANTE
PER GLI ANZIANI CHE RESTANO A CASA NEL MESE DI AGOSTO
Anche
quest’anno La Tenda “non va in ferie”, ma resterà aperta
tutte
le mattine del mese di agosto (da lunedì a venerdì con orario
9-12)
per essere un punto di riferimento per le persone anziane che
restano in città.
Vi
chiediamo di far presente questa opportunità
ai vostri vicini più anziani che restano in città.
Se poi in agosto siete a Milano, potete dare una mano nel fare
qualcosa di utile:
anche se avete poco tempo il vostro aiuto è prezioso
(ad esempio potreste fare la spesa per un anziano
o passare a casa sua per scambiare due chiacchiere).
Per
informazioni La Tenda - tel. 02-39430251 Giusi e Claudia.
SUSSULTI
DI SPERANZA
Nei
lunghi anni del mio lavoro in università mi è toccato più volte
di recensire volumi di colleghi o studiosi. Non è difficile recensire
un libro: se si è onesti e si è letto per intero il libro – molti
infatti si accontentano di una rapida scorsa – basta presentare
le tesi principali dell’opera, rilevarne l’originalità (quando
c’è) ed il gioco è fatto. Certo, ci sono recensioni che sono stroncature,
giudizi senza appello per l’Autore. Ma per lo più le recensioni
sono gesti di cortesia tra colleghi, restituzione di favori: insomma
una buona recensione non si nega a nessuno.
Mi
è difficile adesso, a lettura ultimata, recensire l’ultimo volumetto
del nostro don Angelo: Sussulti di speranza. E come sottotitolo
“Un parroco si racconta”.
Mi limito a suggerire ai lettori di «Come Albero» la lettura di
questo libro. In queste settimane si moltiplicano sui rotocalchi
i consigli ai lettori per il tempo delle vacanze. Ma questo non
è un libro da portare sotto l’ombrellone, in spiaggia. Certo può
essere un buon viatico per qualche passeggiata campestre o in
montagna. Lo si potrà leggere anche in riva al mare ma solo dopo
aver trovato uno spazio di silenzio e di raccoglimento. Bisognerà
leggerlo a poco a poco, non consumandolo voracemente, ma assaporandolo
dolcemente.
I
lettori di questo nostro Notiziario e quanti negli anni scorsi
hanno frequentato la nostra chiesa hanno ancora negli orecchi
la voce di don Angelo, il fascino della sua parola. Qui ritroveranno
i temi cari alla meditazione di don Angelo. Mi correggo: non temi
ma sussulti. Piccoli impercettibili moti del cuore sorpreso da
una Parola che incanta, provoca, scuote, conforta. Le ultime parole
del volumetto ne sono la chiave di lettura e la sintesi più adeguata:
«La benedizione viene dalla piccolezza».
In
queste pagine, ma in tutta la sua vita sacerdotale e nel suo ministero
di parroco, don Angelo ha amato i piccoli numeri, come del resto
il Signore Gesù. Ricordiamo l’attenzione di Gesù per i pochi spiccioli
che una povera vedova getta nel tesoro del tempio, somma modestissima
e che pure suscita l’ammirazione del Maestro. Ma anche quando
ci raccomanda i gesti dell’accoglienza e della cura fraterna Gesù
non ci impone numeri da capogiro: basterà un bicchiere d’acqua
fresca, basterà la dedizione ad uno solo di questi piccoli. La
salvezza è affidata a piccoli numeri.
Di
questo stile evangelico don Angelo è incantato e queste pagine
ne portano la traccia: «Ti dirò, la compagnia degli uomini e delle
donne del mio tempo mi hanno reso sempre più diffidente delle
parole declamate, magniloquenti, hanno il tono e la pretesa dell’onnipotenza,
il più delle volte sono devastanti. Mi sto innamorando, come i
folli e i poeti, di parole piccole e di sguardi che abbiano il
colore degli occhi di Gesù, il piccolo. A scanso di equivoci,
‘piccolo’. Anche quando ebbe più di trent’anni. E forse lo dimentichiamo”
(p.186).
LE
RADICI DELLA NOSTRA COMUNITÀ
II PARTE
Sullo
scorso numero di «Come Albero» abbiamo pubblicato il primo degli
articoli che vogliono ripercorrere brevemente la storia della
nostra Parrocchia. Abbiamo visto come il nome di S. Giovanni in
Laterano provenga dalla Chiesa del centro di Milano demolita intorno
agli anni ‘30 del secolo scorso. Oggi ci poniamo una seconda domanda:
cos’era in passato il luogo su cui oggi sorge la nostra Chiesa,
prima di diventare parrocchia? Ci lasciamo guidare dagli studi
di un nostro parrocchiano, il prof. Natal Mario Lugaro che alla
fine degli anni ‘60, pubblicò un libretto sulla nostra Chiesa.
«Se
vogliamo tracciare alcune linee della storia della Parrocchia
dobbiamo risalire assai più lontano di quell’anno 1928 in cui
il nuovo tempio accolse i primi fedeli. Dobbiamo spingere lo sguardo
fra le pieghe della storia e della fantasia, fino a un’epoca remota,
e immaginare che fra le deserte campagne a nord-est della città
sorga un villaggio che nel corso dei secoli prende il nome di
Cascine Doppie (etimologia incerta n.d.R.) […] Scriveva don Luigi
del Vo’ nel 1939: “Certo le nostre Cascine erano una delle tante
oasi dell’agro mediolanense. Un tranquillo soggiorno immerso nel
verde delle ortaglie e delle praterie irrigue: abituato al mormorio
incessante delle rogge e dei fontanili scorrenti nell’ombra dei
salici, tra le macchie boschive dei pioppi, delle robinie e delle
acacie. Sparso nel verde, occhieggiavano qua e là tra il fogliame
pochi cascinali con un agglomerato di casette rurali, ai margini
della strada per Lambrate e lambito da due rigagnoli. Poco distante
stavano le Lavanderie; qualche stallazzo, qualche latteria, alcune
osterie, tra cui la ‘Pulesa’, la Pulce, famosa per un suo vinello.
Infine, a completare il quadro eccoci l’Oratorio dei Santi Fermo
e Rustico”. Ma quando sorge l’Oratorio siamo già nel 1600. […]
Un prete milanese, don Giacomo Robbio, la cui famiglia possedeva
nella zona dei terreni, si preoccupò della salute spirituale degli
abitanti dei cascinali sparsi all’intorno e per i quali la chiesa
più vicina era San Babila. La località delle Cascine Doppie era
collegata al centro da una strada che partiva dalla circonvallazione
e che seguiva, press’a poco, il tracciato delle attuali via Nino
Bixio e via Pascoli; qui la strada si restringeva forse a sentiero
che, oltrepassate le Cascine, si biforcava poi verso Lambrate
e verso Pioltello. Le Cascine erano nel luogo oggi aperto su piazza
Leonardo da Vinci e l’Oratorio era posto ove ora vi è il numero
civico 10 della stessa piazza. Don Robbio, dopo aver fatto costruire
a sue spese l’Oratorio, intitolato ai Santi Fermo e Rustico, provvide
che vi accudisse un sacerdote, che vi celebrasse la Messa alla
festa e vi impartisse la dottrina cristiana e (…) dispose per
testamento che il Luogo Pio della Carità di Milano mantenesse
in perpetuo la chiesetta collocandovi un cappellano. […] L’Oratorio,
modesto edificio aperto al culto per i contadini sparsi nelle
cascine, continuava a dipendere dalla Parrocchia di San Babila
e vi rimase soggetto fino agli ultimi decenni del ‘700. Gli Agostiniani
Scalzi eressero nel 1629 la chiesa di Santa Francesca Romana,
che nel 1787 diventò parrocchia di un vasto territorio, in cui
fu compresa anche la località delle Cascine Doppie. L’Oratorio
fu testimone del procedere della storia e delle trasformazioni
recate dallo sviluppo della città (…). Ma l’avanzata era ancora
lenta e il ritmo diseguale. Non dovevano essere prospere le condizioni
dei fedeli dei Santi Fermo e Rustico se, nel 1788, gli ispettori
della Repubblica Cisalpina vi trovarono soltanto un calice di
metallo. E nel 1807 il parroco di Santa Francesca dovette chiedere
per l’Oratorio un sussidio al governo: l’edificio bisognava di
riparazioni e di restauri [...]. E intanto Milano cresceva. Anche
lungo la direttrice orientale sorgono abitazioni, si formano vie
e corsi, vi affluisce la popolazione. Nel 1876 si inaugura la
linea di ferrovia a cavalli che collega Milano a Monza. [...]
Si passa per il corso Loreto, tra rigagnoli, paracarri e alberi
… con una lira in prima classe e sessanta centesimi in seconda
si viaggia in un paesaggio caratteristico attraverso cui corrono
i binari: la Martesana, la Cascina dei Pomi a sinistra, la Cascina
Gobba a destra, Greco, Gorla, Precotto, Sesto, Casignolo, Monza.
Le nostre Cascine Doppie sono tagliate fuori dalla linea ferrata,
indice di progresso. Ma la zona verso Loreto si popola e nel 1900
l’Oratorio dei Santi Fermo e Rustico passa alla nuova parrocchia
del SS. Redentore. [...] Tra l’Ottocento e il primo Novecento
la rivoluzione industriale imprime un volto nuovo a quella che
era stata campagna deserta e solitaria staccata dall’agglomerato
urbano di Milano, verdeggiante periferia per le gite domenicali
fuori porta. Scomparsi i boschi, anche i campi e i prati vedono
ridursi le loro superfici, nuove strade vengono tracciate (…).
Sono promessa delle costruzioni che verranno, dei quartieri che
sorgeranno. Milano vuole avere la sua università. L’aveva sognata
fin dal ‘400 e invano ne aveva attesa l’attuazione dagli Sforza.
Nel 1910 viene decisa la fondazione della Città degli Studi per
la quale il Comune cede anche la località delle Cascine Doppie.
La zona sembra la più indicata per favorire, con la quiete e il
silenzio, il fervore degli studi. [...] Il primo a sorgere è il
complesso della Facoltà di Agraria. Nei pressi, il vecchio Oratorio
resiste ancora, ma sarà per poco. La Grande Guerra infuriava.
Il cappellano dei Santi Fermo e Rustico partì per il fronte. Il
Comitato della Croce Rossa stabilì un ufficio nella sua casa e
l’Oratorio ospitò i feriti di guerra. Finalmente la bufera finì
il 4 novembre 1918. Si ridiede mano alle iniziative sospese. La
fame di spazi si allargò. La Congregazione di Carità, che ne aveva
cura per lascito testamentario, concesse il nulla osta e il Comune
decretò la scomparsa dell’Oratorio. Il piccone demolitore si abbatté
su quei vecchi muri nell’anno 1919. Ne nacque una controversia
che si compose con una transazione nel 1923, quando la Congregazione
e il Comune si impegnarono a versare una somma in risarcimento
della demolizione affinché si provvedesse alla costruzione di
una nuova chiesa nella stessa località della Città degli Studi.
Si scelse la località di piazza Bernini e il 13 giugno 1926 il
Card. Tosi benediceva la prima pietra del santuario dedicato alla
Madonna di Pompei e ai Santi Fermo e Rustico. La chiesa venne
aperta al culto il 21 aprile 1928. Ma era di proporzioni limitate
e sembrò subito insufficiente ai bisogni spirituali di un quartiere
in pieno sviluppo...».
QUANDO
CI DIAMO APPUNTAMENTO
PER
IL CATECHISMO?
TERZA
ELEMENTARE
mercoledì
30 settembre 2009 ore 17.00
per iniziare gli incontri di catechismo per i ragazzi
del I anno dell’Iniziazione cristiana
Incontro preparatorio per i genitori
martedì 29 settembre ore 21.00 in oratorio
QUARTA
ELEMENTARE
lunedì 28 settembre 2009 ore 17.00
QUINTA
ELEMENTARE
martedì 29 settembre 2009 ore 17.00
PRIMA
MEDIA
giovedì 1° ottobre 2009 ore 18.00
Le
iscrizioni per il catechismo dei ragazzi di terza elementare della
nostra parrocchia saranno raccolte da lunedì 7 settembre a venerdì
18 settembre dalle ore 16.00 alle ore 19.00 in oratorio.
I bambini che non sono stati battezzati in S. Giovanni devono
portare il certificato di battesimo.
L’iscrizione per i bambini di fuori parrocchia, se vi sarà disponibilità
di posti, sarà presa in considerazione a partire da lunedì 21
settembre, fino a venerdì 25 settembre.
Le iscrizioni per le classi successive saranno raccolte in oratorio
sempre a partire dal 7 settembre dalle ore 16 alle ore 19.
E
DOPO LA CRESIMA?
gli
incontri continuano in oratorio per
SECONDA
MEDIA
mercoledì dalle ore 18.30 alle 19.30
primo incontro mercoledì 30 settembre (con la pizza!)
TERZA
MEDIA
lunedì dalle ore 18.30 alle 19.30
primo
incontro lunedì 5 ottobre (con la pizza!)
PRIMA
E SECONDA SUPERIORE
lunedì dalle ore 21.00 alle 22.00
primo incontro lunedì 28 settembre ore 19.30 (con la pizza!)
TERZA
E QUARTA SUPERIORE
lunedì dalle ore 21.00 alle 22.00
primo incontro lunedì 28 settembre ore 19.30 (con la pizza!)
GRUPPO
GIOVANI
domenica dalle ore 18.30... a quando vogliamo
seguiremo anche i cicli decanali
primo incontro da definirsi in base alla festa della Parrocchia
ORARIO
ESTIVO SS. MESSE
a partire da mercoledì 1° luglio
fino a domenica 30 agosto compreso
festivo
la vigilia: ore 18
nel giorno: ore 8.30 - 11 - 18
feriale
ore 8 e 18
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Nella
Comunità parrocchiale:
hanno
ricevuto il Battesimo
SARA
BONVINI CERVIO
ALESSIA TONARELLI
ARIANNA SPECCHIER
BENEDETTA ALBERIZZI
CARLO ELIA MASCARDI
THEO GIANCARLO MARIA MARROSU
FEDERICO RASPONI
CECILIA SPINELLI
BENEDETTA BOVINO
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abbiamo
affidato ai cieli nuovi e alla terra nuova
LIDIA MAINARDI (a. 86)
UBALDO ANGELO RIPAMONTI (a.891)
GIUSEPPA DARIN CROSETTO (a.95)
EDOARDO GARIGALI RANERI
(a. 43)
LORENZO ALBINO GAZZOLA
(a. 69)
SONIA ROSA SCOLARI
(a. 76)
ANTONIO GRAMEGNA (a.
70)
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