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Come
albero
notiziario
mensile parrocchiale
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TU
SEI I MIEI GIORNI
Signore Gesù,
Tu sei i miei giorni,
non ho altri che te
nella mia vita.
Quando troverò
un qualcosa
che mi aiuta,
te ne sarò immensamente grato;
però Signore,
quand’anche io fossi solo,
quand’anche non ci fosse nulla
che mi dà una mano,
non ci fosse neanche
un fratello di fede
che mi sostiene,
Tu, o Signore, mi basti,
con Te ricomincio da capo.
Tu
mi basti, Signore:
il mio cuore,
il mio corpo, la mia vita,
nel suo normale modo di vestire,
di alimentarsi, di desiderare
è tutta orientata a Te.
Io vivo nella semplicità
e nella povertà di cuore;
non ho una famiglia mia,
perché Tu sei la mia casa,
la mia dimora, il mio vestito,
il mio cibo,
Tu sei il mio desiderio.
DON
LUIGI SERENTHÀ
da Tu sei i miei giorni,
Àncora, Milano 1996
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GIUGNO,
MESE DEI PRETI
Giugno
è, nella nostra diocesi di Milano, il mese delle ordinazioni sacerdotali.
Il nostro arcivescovo Dionigi è stato ordinato prete il 28 giugno
1957. Il suo Vicario, Carlo Roberto Redaelli, originario della
nostra parrocchia, è stato ordinato il 14 giugno 1980. Don Angelo
il 27 giugno 1954, il sottoscritto il 26 giugno 1965, don Giorgio
il 12 giugno 1982, don Alberto l’11 giugno 1988 e don Paolo l’8
giugno 2002. Siamo tutti preti di giugno! Dei preti si sono occupati
diffusamente giornali, radio e televisioni in questi ultimi mesi
per gravi, dolorosi episodi di abuso sessuale di minori. In qualche
momento è sembrato che tutti i preti fossero pedofili.
Confesso
che anch’io, ma anche don Paolo mi ha fatto un’analoga confidenza,
in questi mesi mi sono come trattenuto ritirando subito la mano
che stava posandosi sul capo di uno dei nostri ragazzi, quasi
che questo consueto gesto di affetto potesse essere male interpretato.
Questo clima di “caccia alle streghe” ha come paralizzato semplici
e limpidi gesti di affetto per i minori che i Genitori ci affidano.
Ho già scritto su Come Albero di aprile che di queste tristi e
squallide vicende che vedono protagonisti alcuni preti non bisogna
tacere, nasconderle, insabbiarle come purtroppo si è fatto in
passato. C’è un dovere di accertamento delle reali responsabilità,
di sanzione del colpevole, di tutela delle vittime. Non ritorno
su questo doloroso aspetto. Ho ritenuto mio dovere parlarne con
franchezza e ringrazio quanti mi hanno manifestato consenso e
stima. Non ho inteso alcuna voce critica.
Ma
pensando proprio alla ricorrenza del mio, del nostro anniversario
di ordinazione sacerdotale vorrei ricordare che per uno che sbaglia
ve ne sono cento che svolgono con generosa coerenza il loro compito.
È proprio vero: fa più rumore un albero che cade che non una foresta
che giorno dopo giorno cresce. Il bene non fa chiasso (e il chiasso
non fa bene). Quanti preti svolgono con dedizione il loro ministero,
quanti preti degni e generosi ognuno di noi ha incontrato. Non
dimentichiamolo mentre l’alta marea del disprezzo, una vera e
propria marea nera, rischia di sommergere tutti. Certo questo
clima di sospetto non aiuterà a guardare al prete con occhi di
stima, non favorirà nei giovani uno sguardo di apprezzamento.
Mettersi per questa strada sarà probabilmente ancor più difficile
e la “crisi delle vocazioni” certo non ne trarrà vantaggio. La
“crisi delle vocazioni” è fenomeno che da qualche decennio lentamente
e inesorabilmente fa il vuoto tra le fila dei preti. Faccio il
mio caso: eravamo settantasei quel mattino del 26 giugno di quarantacinque
anni fa ad essere ordinati preti nel nostro Duomo. Lo scorso sabato
12 giugno solo diciassette i giovani che il cardinale Tettamanzi
ha ordinato preti per il servizio della nostra Chiesa.
Un altro dato inquietante: nel biennio febbraio 2008 – dicembre
2009 ottantuno i nostri preti defunti. Vuol dire allora che i
nuovi ordinati a mala pena rimpiazzano la metà dei confratelli
defunti. Sono ormai definitivamente passati i tempi che vedevano
un prete accanto ad ogni campanile … oggi andiamo verso aggregazioni
di più parrocchie affidate ad una piccola équipe di preti, religiosi,
laici. I numeri lo impongono.
Qualcuno
dice che non tutti i mali vengono per nuocere e che questa penuria
di preti libererà la chiesa dal clericalismo, dall’idea, purtroppo
radicata, che il prete fa tutto e che i laici sono solo una ruota
di scorta … È vero che sempre più la nostra chiesa, effettivamente
molto clericale, dovrà far spazio ai laici. È triste che questo
avvenga non già per un doveroso riconoscimento della dignità e
del ruolo dei laici ma per uno stato di necessità, appunto la
carenza di preti. Se la crisi delle vocazioni al sacerdozio provocherà
un ricupero del protagonismo laicale nelle nostre comunità, sarà
una crisi salutare. Ma la Chiesa non può fare a meno dei preti.
Forse in futuro il loro “reclutamento” seguirà vie diverse: potranno
esser ordinati uomini di provata affidabilità che hanno già mostrato
solide capacità nella conduzione della loro famiglia? La Chiesa
lo potrebbe fare e non pochi vescovi hanno timidamente avanzato
questa ipotesi …
E ancora: è davvero impossibile pensare ad un maggiore riconoscimento
del ruolo della donna all’interno della Chiesa? Altre chiese cristiane
lo hanno fatto. È certo che la comunità cristiana non può vivere
senza la celebrazione eucaristica e quindi ha assoluto bisogno
di un sacerdozio che rinnovando parole e gesti del Signore Gesù
ne realizzi la misteriosa presenza e permetta all’intero popolo
cristiano che è popolo sacerdotale di unirsi al dono che Cristo
in ogni eucaristia compie di sé.
La
teologia cattolica esprime questa verità con una formula insieme
grande e difficile: nella celebrazione eucaristica così come negli
altri sacramenti il sacerdote agisce IN PERSONA DI GESÙ CRISTO.
Quelle parole che nel cuore della messa ogni prete ripete magari
da molti decenni ma sempre con intensa emozione, sono le stesse
parole di Gesù; a quelle parole ogni prete presta la sua bocca,
meglio la sua intera esistenza. Perché tutto il popolo sacerdotale
che con lui celebra possa unirsi al gesto di Gesù e farlo proprio.
Mi scuso per la difficoltà di questo ultimo passaggio: ma queste
righe tentano di esprimere la grande grazia d’esser prete. Per
me da quarantacinque anni e non mi sono ancora pentito, grazie
a Dio.
don
Giuseppe
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MARIA DI MAGDALA
Giovedì
27 maggio u.s. abbiamo concluso le celebrazioni del mese dedicato
a Maria con una seconda meditazione di Dora Castenetto,
docente di teologia spirituale nella Facoltà teologica di Milano
(la prima la trovate sul numero di maggio di “Come albero”).
Il testo, cortesemente trascritto dalla sig.ra Rita Girotti,
che ringraziamo, mantiene lo stile parlato e non è stato rivisto
dall’Autrice. .
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Quando
don Giuseppe mi ha chiesto di proporre una riflessione al femminile
sul Vangelo, ho pensato alla figura di Maria di Magdala (di cui
ho una particolare predilezione): lui ha accettato e sono contenta
di poter dire qualcosa di lei. Chi è questa donna? I biblisti
discutono sulla figura di tre donne: Maria della casa del fariseo,
Maria di Betania e, finalmente, la Maddalena. Non so se gli studiosi
hanno ragione, perché alcuni dicono che le donne sono tre, alcuni
dicono che è una sola, a me interessa sottolineare che un filo
rosso percorre queste tre figure, e ne fanno una sola, al di là
delle riflessioni dei biblisti: questo filo rosso è l’amore, la
tenerezza profonda, la totalità di un dono ricevuto, accolto e
restituito che dà senso al vissuto delle tre donne o dell’unica
donna in tre momenti diversi. Allora consentitemi di dire rapidamente
qualcosa di queste tre donne o di questa unica donna in tre momenti
diversi. Mi pare di poter chiamare Maria nella casa (o Maddalena)
nella casa del fariseo la donna dell’alabastro in frantumi. Poi
c’è Maria di Betania che conosciamo bene, che è seduta in un ascolto
stupito e adorante del suo Maestro. Infine, la Maddalena nel Giardino
della Risurrezione.
Maria
in casa del fariseo (Lc 7, 36-50)
Mi pare che sia bello guardare questa donna che è in ginocchio
ai piedi di Gesù, e piange (così come piange la Maddalena al sepolcro).
Questa donna rompe un vaso di alabastro, colmo di profumo prezioso,
anzi, “colmo fino all’orlo”, come dire “è proprio straripante,
è proprio pieno”. Io ho meditato tante volte su questo vaso perché
mi pare che tutta la pienezza, la bellezza di una vita, tutto
ciò che si possiede, tutto ciò che simboleggia il bello, il tesoro
che si possiede, è versato ai piedi di Gesù, senza la paura di
trattenere nulla per sé. O forse (e questa è una delle interpretazioni
che alcuni biblisti danno in questo periodo) questa donna era
venuta per corrompere Gesù proprio con questo profumo: Infatti
succedeva che quando si invitavano degli amici, il pranzo poteva
terminare magari con un rapporto con una prostituta; e questa
era venuta con il profumo appunto, forse per corrompere Gesù.
Ma le cose cambiano, perché Gesù la guarda. E questo sguardo di
Gesù le penetra dentro, tanto che lei ha un sussulto, forse un’intuizione
che rovescia in questo momento la prospettiva della sua vita e
rovescia anche la prospettiva per la quale era venuta in casa
di questo fariseo. E allora non sa fare altro che prendere questo
profumo e mandare in frantumi il vaso: il Vangelo di Matteo dice
“fracto alabastro”, “spezzato l’alabastro” “mandato in frantumi
l’alabastro”... la casa viene inondata di profumo! Ma ora il profumo
inonda il Signore in maniera così diversa da quella per cui lei
era venuta! Mi pare che questo gesto di questa Maria simboleggi
il voler donar tutto, assolutamente tutto, senza trattenere nulla
per sé, neppure il bene più grande che poteva avere, la sua bellezza,
la sua forza d’amore, la sua femminilità. Sappiamo che questo
suo gesto non viene approvato, perché qualcuno dice, come succederà
con Giuda più tardi: “Ma come, questo profumo poteva essere conservato,
e se proprio voleva darlo al Signore, avrebbe dovuto venderlo
e il ricavato darlo ai poveri”. Ma questo è un fariseismo: come
succede anche oggi, di fronte a un gesto di gratuità e di donazione
assoluta spesso si trovano delle giustificazioni.
Tuttavia quando la donna incrocia lo sguardo di Gesù e sente la
sua voce, percepisce che è Lui il dono e non può che dare tutto
ciò che ha, incurante dei commenti contro di lei: sente lo sguardo
del Signore che le penetra dentro, percepisce la sua voce che
sconvolge i nostri disegni, i nostri piani. E così capita a questa
donna. Io credo che questo succeda anche a noi, quando sentiamo
la voce del Signore, quando noi percepiamo in profondità la sua
voce, quando noi incrociamo così il suo sguardo: allora non possiamo
che consegnare a Lui totalmente la nostra vita.
Questa prima pagina che abbiamo meditato è una pagina per tutti:
quando noi rompiamo il nostro alabastro dopo una vita di fragilità
e magari di peccato non dobbiamo avere paura di sentire la voce
del Signore e di incrociare il suo sguardo, avvertendo contemporaneamente
il peso e la fatica delle nostre fragilità e del nostro peccato,
ma con la consapevolezza che il Signore le cancella.
Maria
di Betania (Lc 10, 38-42)
Nella seconda pagina che leggiamo, vediamo Maria che, seduta ai
piedi del Maestro, lo ascolta. Non richiama la Madonna questo
atteggiamento di Maria di Betania? Sta seduta e ascolta, si nutre
di questa parola. E allora mi pare che Maria di Betania ai piedi
del Signore ci insegni la preghiera cristiana. La preghiera cristiana
non è fatta di nostre parole, ma è fondamentalmente ascolto, lasciando
parlare il Signore, e, se mai, le nostre sono una risposta alla
sua parola. La preghiera cristiana è fatta di silenzio, di comunione,
è fatta di una capacità di rispondere alla Parola, è fatta di
una restituzione, capendo e diventando persuasi che l’iniziativa
è sempre e soltanto Sua, come era stata nella casa del fariseo.
È Lui che guarda la donna, è Lui che la colpisce nel profondo
del cuore. Maria di Betania sta in questa prostrazione, lì, ai
piedi del Signore e ascolta, ascolta. Ma è proprio in questo stare,
che si esprime la medesima comunione che abbiamo registrato in
casa del fariseo: là sta ai piedi di Gesù e inonda con le sue
lacrime i piedi di Gesù, qui sta ai piedi di Gesù e ascolta. Sta,
non vorrebbe staccarsi da Lui, così come non vorrà staccarsi quando
lo incontrerà nel giardino della Risurrezione. Il medesimo verbo
stare si ritrova al capitolo 19 di Giovanni: «Stavano presso la
croce di Gesù sua Madre, la sorella di sua madre, Maria di Cleofa
e Maria di Magdala». È possibile stare presso la croce a lungo?
È possibile stare comunque presso la croce per tanto tempo? Ma
la croce non è una croce vuota, è la croce di Gesù. Credo che
la croce da sola non sapremmo né reggerla né accoglierla, ma se
sulla croce c’è l’amato del cuore, come è per Maddalena, allora
si sta lì, come ad accogliere nel cuore l’ultimo dono delle sue
parole e del suo respiro. E allora si può abbracciare la croce,
così come si vede in qualche quadro, dove Maria di Magdala sta
ai piedi della croce ma abbracciandola. È già tanto restare ai
piedi della croce, ma restare ai piedi della croce e abbracciarla
è un discorso molto difficile. E come il profumo versato su Gesù
anticipava la sua sepoltura, così ai piedi della croce sembra
che questa donna – Maria di Magdala, Maria di Betania, non ci
interessa – voglia ancora trattenere questo corpo, questo suo
amato.
Maria
al Giardino della Risurrezione (Gv 20, 11-18)
Finalmente arriviamo al capitolo 20 del Vangelo di Giovanni. C’è
ancora il verbo stare. «Stava all’esterno, vicino
al sepolcro e piangeva». “Ma è una donna che sa solo piangere?”
ci viene da chiedere. In questo stare vicino al sepolcro
è come non volersi staccare da quel toccare Gesù che l’aveva avvinta,
prima in casa del fariseo, poi nella sua casa di Betania, infine
persino sulla croce. Piange, piange un amore perduto, nascosto.
Credo che questo sarebbe un tema molto interessante da considerare
perché fa parte della nostra vita: infatti, anche nelle vocazioni
più riuscite spesso si può registrare uno smarrimento quando si
sperimenta la perdita di un amore che pareva forte e che sembra
scomparso. Maria Maddalena fuori dal sepolcro, mentre piange l’amore
perduto del suo Gesù, del Signore che aveva tanto amato, rappresenta
un po’ noi nei momenti di smarrimento e di prova, quando perdiamo
un’amicizia, un amore, una persona cara e siamo come perduti perché
ci manca quello che ha costituito l’espressione di un amore grande.
Quando lei si sente rispondere dagli angeli o dalle guardie che
è inutile che cerchi perché il sepolcro è vuoto davvero, lo smarrimento
aumenta dentro di lei.
E allora nasce la ricerca. Anche qui senza la pretesa di un’esegesi
biblica, mi pare che questo brano potrebbe essere intitolato La
ricerca della fede. Noi cerchiamo il Signore non solo quando
lo sentiamo, ma anche quando ci pare di averlo smarrito, quando
sembra che la fede non abbia senso e significato, perché il desiderio
di Lui, la nostalgia di Lui, anche se inconsapevole, è dentro
di noi. Noi siamo fatti per Lui e quindi questa nostalgia ci sta
dentro. Per questo Maria lo cerca al buio. La ricerca di Gesù
è una ricerca notturna: «Era ancora buio». Come si fa a ricercare
l’amato del proprio cuore al buio? Eppure il Signore è lì vicinissimo,
perché il Signore non ci lascia soli nei momenti di smarrimento
e di paura, nei momenti di angoscia e di desolazione, anche se
noi non lo vediamo perché c’è buio, perché i sensi tacciono, perché
l’esperienza sensibile non c’è. E allora cerchiamo senza scoprirlo:
è una ricerca nel pianto.
Quando poi finalmente Maria vede e sente “l’ortolano”, gli domanda:
«Dimmi dov’è». Non è questa anche la domanda che nasce nel nostro
cuore quando cerchiamo il Signore e abbiamo la sensazione di non
trovarlo, di non vederlo, e allora ci rivolgiamo a qualcuno che
ci possa indicare la strada: «Dimmi dov’è, dimmi dove l’hai messo
se per caso l’hai messo via tu»? Anche questa è una ricerca nella
debolezza della fede, per questo faticosa: «Dimmi dov’è». Mi vengono
in mente le pagine del Cantico dei Cantici dove questo discorso
della ricerca è molto forte; questo libro biblico è la storia
di due amanti, simbolicamente noi e il Signore; questa donna che
ha perduto l’amato del suo cuore lo cerca affannosamente, interrogando
tutti quelli che incontra: interroga i pastori, «Se avete visto
l’amato del mio cuore ditemi dov’è», e poi interroga i prati,
i fiori, l’erba, le piante, gli animali ma nessuno le risponde.
È come la nostra ricerca di fede: «Dimmi chi è il Signore, dimmi
dov’è… Come faccio a trovarlo in questo fatto, in questa circostanza,
in questa vicenda? Come faccio a trovarlo nella preghiera, se
la preghiera non mi esce dal cuore, sembra non dirmi nulla?».
Poi, quando finalmente l’amato si fa vivo, improvvisamente, così
come improvvisamente era scomparso l’amata dice: “Io ho cercato
il Signore e il Signore era lì, lo ritrovavo nelle cose, lo ritrovavo
nelle persone, lo ritrovavo nelle vicende del mio quotidiano,
lo ritrovavo in un momento di festa, in un momento di dolore”:
questa è la ricerca della fede. Silvano del Monte Athos scrive
questa cosa molto bella: «Dio lo scopriamo solo quando abbiamo
sperimentato di averlo perduto». Allora ha ragione san Giovanni
della Croce quando dice: «Che cos’è la fede? La fede è un ambito
certo ma oscuro”. Come fa essere certo e oscuro? La fede è proprio
questa decisione… La nostra fede qualche volta è un non capire
a livello logico, intellettuale, e tuttavia dire di sì. Quando?
Quando il Signore la chiama per nome “Maria”. Allora è come se
si illuminasse la vita, è come se capisse d’improvviso che Lui
è lì, perché Lui la chiama per nome. Soltanto Lui sa il suo nome,
e soltanto Lui sa il nostro nome. Cosa vuol dire? Quando Gesù
chiama Maria sa chi è questa donna; e quando il Signore ci chiama
per nome sa chi siamo, con la nostra storia, con le nostre paure,
con le nostre gioie, con il nostro cuore piccolo o grande, con
le nostre fragilità, con le nostre debolezze: sa chi siamo. E
Maria si volta! In questo gesto quasi fa memoria di quello che
ha vissuto, del rapporto che ha vissuto con Lui, di quella relazione
d’amore che ha intrecciato con il Signore Gesù. Ma l’esperienza
con il Signore chiede di aprirsi alla novità sorprendente sempre,
perché il Signore nel farsi riconoscere si rivela sempre in modo
imprevedibile: una volta si rivela mentre noi viviamo una esperienza
di dolore, qualche volta si rivela mentre siamo con i nostri bimbi,
un’altra volta si rivela quando viviamo un’esperienza di amicizia.
E questa è la fede. La fede è proprio quest’esperienza dell’incontro
con il Signore che ci viene incontro e ci chiama per nome in modo
imprevedibile.
Da tutto questo impariamo che noi non siamo capaci di cercare
Dio, ma quando ci si sente chiamati per nome allora ci volgiamo
e lo riconosciamo. Noi conosciamo il Signore perché Lui ci cerca
per nome, e noi possiamo rispondere perché Lui ci cerca, e ci
cerca perché ci ama.
Un’ultima considerazione. Maria ha riconosciuto Gesù, ha ritrovato
l’amore della sua vita e vorrebbe trattenerlo per sé, ma il Signore
le dice: «Non mi trattenere, ma va’ dai miei fratelli…». Ma come!
Aveva pianto tanto fuori dal sepolcro vuoto, aveva interrogato
il giardiniere, poi finalmente ritrova il suo Signore e Lui le
dice: «Vai, non stare qui, non mi trattenere per te, ma va’ dai
miei fratelli»! Qui subentra una considerazione importante: quando
noi parliamo dei nostri fratelli, quando noi parliamo del prossimo,
quando noi parliamo delle persone a cui dobbiamo portare l’annuncio
della Resurrezione e quindi l’annuncio del Signore, noi diciamo
sempre “nostri fratelli”, ma sono tali perché fratelli di Gesù!
Noi impariamo a voler bene ai nostri, alle nostre sorelle e ai
nostri fratelli, cioè a volere bene al prossimo, perché sono i
fratelli di Gesù e noi pure siamo con Lui, ma anche perché è come
se Gesù ci dicesse: “Non mi cercare dove non ci sono: cercami
nella carità, cercami nella prossimità, cercami nei miei fratelli”.
Allora Maria corre, come illuminata da questa parola del Signore.
Corre. E dice: «Ho visto il Signore», cioè: «Ve lo posso dire
perché io l’ho visto».
L’evangelizzazione di cui parliamo tanto, è un andare in risposta
ubbidiente a questo “Va’ dai miei fratelli” di Gesù e annunciare
con la forza della testimonianza, cioè con la forza di un vissuto,
che noi l’abbiamo incontrato. Come sarebbe diverso il nostro parlare
di Lui se potessimo avere la forza della Maddalena che dice: “Io
l’ho visto il Signore, io l’ho incontrato”. E questo andare dai
fratelli evangelizza proprio così, avendo nello sguardo e nel
cuore il Signore risorto. «Ho veduto morire la morte», recita
un canto popolare, perché la Risurrezione di Gesù dice che la
morte è sconfitta. “Io il Signore l’ho visto”, allora vuol dire
che è proprio risorto, io ho visto morire la morte.
Allora questo annuncio si farà denso di una comunione, di una
contemplazione, di un amore, perché il nostro evangelizzare è
“semplicemente” un annunciare ciò che abbiamo visto, lasciando
trasudare nella nostra vita questo “aver visto”, questo essersi
lasciati incontrare dal Risorto. E allora l’efficacia del nostro
annunciare sarà indubbia.
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MEMORIA,
SPERANZA, PREGHIERA
omelia
di Mons. Piergiacomo Grampa
per la Celebrazione della Cresima
domenica 16 maggio 2010
Questa
domenica, posta tra l’ascensione di Gesù al cielo e la discesa
dello Spirito Santo nel giorno di Pentecoste, ha un suo fascino
e una sua suggestione tutti particolari. Gli atti degli apostoli
ci dicono che i discepoli di Gesù rimasero nel cenacolo in attesa
dello Spirito Santo. Ci domandiamo quali poterono essere i loro
sentimenti, quali furono le emozioni, i pensieri, i presentimenti,
i progetti, i discorsi in quei giorni tra l’ascensione e la pentecoste.
Anche noi siamo riuniti in attesa del dono dello Spirito Santo.
Confrontiamo il nostro stato d’animo con quello degli Apostoli.
Penso che l’atteggiamento primo fu quello della memoria.
Di fronte alla salita di Gesù al cielo, chi gli era stato più
vicino, aveva ascoltato le sue parole più segrete, conosciuto
i suoi miracoli, partecipato alla sua preghiera, vissuto con maggiore
intimità le sue giornate doveva riandare col pensiero a rivivere
quell’esperienza affascinante ed intensa dei giorni trascorsi
con lui. I discepoli sono riuniti nel ricordo vivo del loro maestro,
per coltivare la sua memoria, per rivivere assieme quanto Gesù
aveva detto e fatto. La fede è coltivazione della memoria. C’è
fede quando si ripercorre, si approfondisce, si cerca di scavare
nel ricordo reso vivo, presente, attivo, efficace. È l’esperienza
che avete fatto anche voi nel periodo di preparazione alla cresima,
avete cercato di mantenere viva la memoria di Gesù, vi siete impegnati
per conoscerlo meglio. È l’atteggiamento di Maria, la madre di
Gesù, che «Meditava tutte queste cose, conservandole nel suo cuore».
È importante conquistare questo atteggiamento meditativo se vogliamo
mantenere viva la nostra fede.
Vorrei farvi un augurio: che possiate realizzare quanto ci faceva
ripetere il salmo responsoriale: “contemplare il volto di Gesù”.
Come Stefano nel momento del martirio: «Ecco contemplo i cieli
aperti e il Figlio dell’uomo che sta alla destra di Dio». Possiate
trovare tempo, avere desiderio interiore di conoscere sempre meglio,
di saper contemplare il volto del più bello tra i figli dell’uomo.
Vedere il volto di Gesù non solo per un godimento estetico di
tutte le opere d’arte meravigliose e sublimi che lo ritraggono,
ma contemplare il volto di Gesù per rafforzare l’amicizia con
lui, rinnovare l’impegno di restargli vicino, di essergli amico
fedele e generoso. Se volete essere cristiani veri, autentici
amici dovete coltivare la memoria viva di Gesù.
Penso
che un secondo atteggiamento albergasse nel cuore dei discepoli
nei giorni tra l’ascensione la pentecoste. Un atteggiamento di
preoccupata speranza. Non poteva mancare in loro la preoccupazione
per il futuro. Quale sarebbe stata la loro sorte ora che il Maestro
era scomparso completamente dai loro occhi, ma non dal loro cuore?
Come affrontare la situazione nuova, l’ostilità degli avversari,
le indifferenze del mondo esterno? Che ne sarebbe stato di loro,
del loro futuro? Erano in attesa! Gesù non aveva promesso loro
la venuta del suo Spirito Santo? Non esiste vita cristiana senza
attesa, che è desiderio di futuro, certezza di novità, tensione
verso un domani aperto. Vivere nell’attesa del Signore che verrà,
del suo Spirito che opera in noi meraviglie. Vivere nell’attesa,
nella speranza che vince ogni delusione e scoraggiamento: è il
secondo atteggiamento richiamato a noi dai discepoli di Gesù nei
giorni tra l’ascensione e la pentecoste. Attesa che è occasione
per rinnovare il vostro impegno, la cresima non è il Sacramento
dell’abbandono ma dell’impegno rinnovato, della responsabilità
accresciuta, della coerenza. Volete sapete ciò che maggiormente
rattrista il mio cuore di Vescovo? È pensare, quando amministro
le cresime che quella celebrazione segna, per molti di voi, il
momento dell’abbandono invece che quello dell’impegno, della fedeltà,
della crescita. Dopo la Cresima perdete la speranza di poter restare
amici di Gesù. La vostre preoccupazioni, difficoltà e lotte uccidono
la speranza.
E
poi un terzo atteggiamento mi pare di dover cogliere: quello
della preghiera. Sono gli Atti degli apostoli ad assicurarci
che in attesa dello Spirito Santo i discepoli erano assidui nella
preghiera con Maria nel Cenacolo. Lo Spirito Santo viene dove
è atteso, desiderato, invocato. Lo Spirito Santo rinnova e porta
frutto solo se lo si vive con spirito di preghiera. Pensiamo quanto
intensa dovette essere la preghiera di lode e di invocazione dei
discepoli. La preghiera che è nutrimento dell’amore e della carità;
la preghiera che è espressione del nostro vuoto e del nostro bisogno
di riempirlo con la sovrabbondante carità dello Spirito. La preghiera
è il respiro di ogni anima che fa memoria e vive nell’attesa che
si compia il regno di Dio. Se la dimensione più vera della Chiesa
è quella del già e del non ancora, l’esperienza della Cresima
deve farci sentire in modo particolarmente intenso questo sentimento
del già e del non ancora. Del già visto, vissuto, sperimentato,
che non è ancora però la pienezza della nostra conversione, della
nostra adesione piena e totale allo Spirito del Signore Gesù,
del nostro impegno perché la sua volontà sia fatta e il suo regno
venga. Celebrazione della memoria, dell’attesa, della preghiera:
del già e del non ancora, quello della Cresima. Venga lo Spirito
Santo a dare pienezza e compimento al regno di Dio in noi e nel
nostro mondo, quanto ne abbiamo di bisogno voi lo vedete. Quando
le forze del male, della violenza, del peccato vi assediano non
dimenticate la preghiera, la fedeltà alla Messa festiva, di rispondere
alle proposte che vi vengono dalla parrocchia e dall’oratorio
non solo di gioco e di divertimento, ma di preghiera, di crescita
interiore, di vita spirituale. Lo Spirito Santo vi faccia sentire
questo bisogno ed accresca il vostro desiderio di pregare.
Memoria, speranza e preghiera devono essere i frutti della vostra
Cresima.
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PRENDERE
SUL SERIO LE COSE DEI PIÙ PICCOLI
Una piccola esperienza
di "Tempo per le famiglie" nella nostra
parrocchia
Anche
quest’anno l’esperienza del “Tempo per le Famiglie”
sta svolgendo al termine. Durante la conclusione,
prevista per il 10 giugno, saluteremo ventun dolcissimi
bimbi… bimbi che abbiamo conosciuto quando quasi tutti
ancora gattonavano e che poi abbiamo visto pian piano
alzarsi e muovere i primi timidi e incerti passi…
Li abbiamo seguiti con tenerezza e attenzione in questi
mesi cercando di offrire loro uno spazio che non fosse
solo un luogo, ma anche un tempo per incontrare altri
bambini e per sperimentare e sperimentarsi in nuove
scoperte.
Ma forse c’è ancora qualcuno che non conosce il “Tempo
Per le Famiglie”! È anzitutto un’esperienza educativa,
da tempo diffusa nella città – ma che nel nostro territorio
è offerta dalla Parrocchia – per le famiglie che hanno
bimbi piccoli (dai 9 ai 36 mesi). Don Paolo ha messo
a disposizione uno spazio dell’oratorio, don Giuseppe
ha destinato alcune risorse economiche che hanno fatto
sì che Fondazione Aquilone potesse gestire il servizio
attraverso due educatrici e la consulenza di una pedagogista
(Alessandra Giovannetti) che ha accompagnato con passione
il percorso di questo terzo anno di attività.
Una
mamma che quest’anno ha utilizzato il servizio racconta:
«Ogni martedì e giovedì mattina ai bimbi veniva
data la possibilità di iniziare ad incontrare e prendere
confidenza con altri bambini in un ambiente organizzato
con diverse proposte di gioco (una bellissima cucina
in legno per il gioco del far finta, l’angolo morbido,
lo spazio del gioco a terra...)». Una nonna aggiunge:
«Le educatrici hanno strutturato le mattinate secondo
una routine che dà sicurezza ai bimbi: dopo l’accoglienza,
era possibile il gioco libero, poi la merenda e le
canzoni cantate in gruppo grandi e piccoli, infine
proposte di gioco strutturato per la scoperta di nuove
emozioni e sensazioni ed anche per le prime esperienze
di autonomia». Un’altra mamma afferma: «Il
tempo per le famiglie è stato anche per noi grandi
la possibilità di incontraci, fare amicizia, condividere
le esperienze, cercare risposte alle proprie incertezze.
Siamo sempre più convinti che genitori non si nasce,
ma si diventa».
Fondazione
Aquilone è convinta che “Tempo per le famiglie” sia
un’opportunità educativa non in alternativa al nido
(esso infatti risponde ad altri bisogni), ma un servizio
importante per le famiglie che non utilizzando il
nido, sono comunque alla ricerca di opportunità per
uscire dalle solitudine, di proposte che possono arricchire
la crescita dei bimbi e prepararli al passaggio alla
scuola dell’infanzia. “Tempo per le famiglie” è anche
una risorsa per nonni: sanno che possono contare per
qualche ora alla settimana sulla creatività e la gioia
di uno spazio che offre attività e incontri.
Questa
bella esperienza non sarebbe stata possibile senza
la sensibilità dimostrata da don Giuseppe e don Paolo
verso i più piccoli della comunità ai quali vanno
i nostri più sentiti ringraziamenti. Anche con questo
servizio la comunità parrocchiale ha voluto esprimere
la propria attenzione verso le famiglie e il proprio
impegno nel "prendere sul serio le cose dei più piccoli".
Desideriamo
infine ringraziare tutte le famiglie che mai come
quest’anno hanno partecipato con entusiasmo e calore
alle attività proposte e tutti i bambini e le bambine
che con i loro teneri sorrisi hanno scaldato anche
le giornate più piovose di Milano!!
Magda,
Debora e Loris.
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L'ORATORIO
IN CIFRE
Mi capita talvolta di parlare con qualcuno dell’oratorio e delle
sue attività. Spesso mi si chiede: ma quanti bambini ci sono?
Quanti giovani? Cosa fate? Come si sostiene economicamente l’oratorio?
Cerco di dare alcune risposte “numeriche”, lasciando ad un altro
articolo successivo qualche riflessione più ampia. L’oratorio
ha queste attività:
Iniziazione
cristiana (il catechismo che va dalla terza elementare alla
prima media): quest’anno erano iscritti 367 bambini, di cui 96
al primo anno, 96 al secondo anno, 99 al terzo anno e 86 al quarto,
quello della cresima. Per aiutare questi bambini abbiamo circa
30 catechiste (alcune fanno un doppio turno!) e 6 ragazze delle
superiori, che le affiancano. Sapendo che il rapporto educativo
migliore per un’esperienza come quella del catechismo dovrebbe
essere 1 catechista per 9 bambini al massimo… fate voi i conti!
Il
“dopo cresima” (dalla seconda media all’università):
Il gruppo di seconda media oscillava sempre tra i 35 ei
50 ragazzi ad ogni incontro (soprattutto quello in cui c’era la
cena insieme), guidato da tre educatori più il sottoscritto;
Il
gruppo di terza media
si è stabilizzato intorno ai 25-30 ragazzi con due educatori più
me;
I gruppi delle superiori (prima e seconda, terza e quarta)
hanno raggiunto anche quota 50 insieme, ma la media è intorno
ai 20 per gruppo, guidati da otto educatori;
Il gruppo giovani raduna la quinta superiore e gli universitari,
che già fanno gli educatori e si occupano di altre attività in
e fuori parrocchia: siamo intorno alla ventina di persone, con
un educatore oltre me.
Lo
Spazio Studio: un educatore tiene le fila di questa bella
iniziativa che ha iscritto circa trenta ragazzi delle medie e
delle superiori, seguiti da una ventina di volontari.
Il
Tempo per le Famiglie di cui avete trovato un articolo su
questo numero del notiziario.
L’Oratorio
si mantiene grazie alla generosità delle famiglie, alle attività
che si svolgono e alla partecipazione della parrocchia: per esempio
non paghiamo riscaldamento ed elettricità. Da settembre 2009 al
giugno 2010 le entrate sono state circa 26.000 euro, di cui 8.782
per le offerte libere per il catechismo, la prima comunione e
la cresima; 9.000 per le varie attività di carità e circa 8.000
tra il bar, le feste, contributi dal Consiglio di Zona, dai genitori
che usufruiscono del “Tempo per le Famiglie” ecc.
Le uscite sono state circa 25.000 euro (25.182 per la precisione),
di cui 9.000 per la carità ad Haiti, 3.000 per le attività della
“Tenda”, 5.000 per il Tempo per le Famiglie e lo Spazio Studio
e 5.500 per il catechismo (Bibbie, materiale, regali prime comunioni,
cresime, feste…), il resto per le spese del bar e della gestione
tecnica (da notare i 400 euro delle spese bancarie!!!!). Questa
estate dovremo affrontare anche la tinteggiatura dell’oratorio,
un nuovo impianto luci per la zona “agorà” e un servizio di videosorveglianza
per prevenire i furti e gli atti di vandalismo di cui anche quest’anno
siamo stati vittime.
Questi
i numeri… ma per fortuna l’Oratorio è MOLTO di più!
Ma di questo ne parleremo un’altra volta.
Don
Paolo
ALLA
RISCOPERTA DELLE RADICI
La
festa per il 45° anniversario dell’ordinazione sacerdotale di
don Giancarlo Bandera, tenutasi il 2 giugno scorso a Saint-Nicolas
in Valle d’Aosta, avrebbe potuto rischiare di ridursi ad una banale
“operazione nostalgia”. Se non è stato così, il merito va dato
anzitutto alla tenace volontà del festeggiato: dare ai partecipanti
un’occasione preziosa per riscoprire le radici della propria fede
e per rilanciare l’impegno per tradurla in gesti concreti nella
vita di tutti i giorni. Eravamo presenti in circa duecento, compresi
i figli e qualche genitore degli “ex-ragazzi del Don”.
Don
Giancarlo ci ha chiesto per prima cosa di fare mezz’ora di silenzio
come facevamo proprio sul quel prato e tra quegli abeti trent’anni
fa e nel silenzio provare a interrogarci sul cammino compiuto
da allora e verificare quanto di quello stile di contemplazione
e di condivisione sia rimasto nella nostra vita o possa tornare
a esserci. Chi ha voluto, ha scritto le proprie riflessioni, anonime
o firmate, e le ha consegnate a don Giancarlo.
La
celebrazione eucaristica, i canti, le parole di don Giancarlo
all’omelia ci hanno invitati a fare il punto sui nostri sogni
di allora e a ridare ad essi il respiro del Vangelo.
La
condivisione del cibo, sia quello che ciascuno si era portato
da casa, sia quello accuratamente preparato per tutti da alcuni
volontari, ci ha fatto sperimentare ancora una volta «com’è bello
e come dà gioia che i fratelli vivano insieme». Infine abbiamo
fatto una passeggiata nel bosco, raccontandoci gli uni gli altri
dove ci ha portato la vita e augurandoci di rivederci presto.
Con
l’occasione abbiamo festeggiato anche il 30° di sacerdozio di
mons. Carlo Redaelli e ricordato il 14° di fra’ Marco Di Fronzo,
entrambi presenti.
Abbiamo
raccolto per il viaggio di don Giancarlo a Papua Nuova Guinea
euro 2.000: ogni anno negli ultimi tempi don Giancarlo si è recato
pellegrino presso qualche missionario e questa volta – che ha
detto essere l’ultima – ha deciso di andare dall’altra parte della
Terra.
La
giornata è stata bellissima, anche grazie al sole sfavillante,
don Giancarlo è stato molto contento, il ringraziamento è per
il Signore che ha dato di fare un’esperienza così importante allora
e così emozionante trent’anni dopo.
Stefano
Pierantoni
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Nella
Comunità parrocchiale:
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hanno
ricevuto il battesimo
ELENA
INTELLIGENTE
GIOVANNA LUCIANO
GIANLUCA MARIA ROSSI
VIRGINIA MARIA CRISTINA SGOBBI
SIMONE COLOMBI
ALLEGRA CAROLINA AGOSTO
LORENZO D'ADDATO
LEONARDO PAGNUZZATO
ADRIANA PEDERCINI DE LA RIVA
SOFIA LO STIMOLO
MARCO RINALDI
ANDREA PENCO
ZOE ALIFFI
GIADA DE SANTA
GABRIELE ZANDA
GRETA SCHNEIDER
LEONARDO FIOCCA
EDOARDO RANGONE
PIETRO RIMOLDI
LORENZO IACOVINO
si
sono uniti in matrimonio
LUCA
CERRI E SILVIA PIRANI
ALBERTO CAMPOLONGO E PLAMENA KOLEVA STOYANOVA
abbiamo
affidato ai cieli nuovi e alla terra nuova
GIUSEPPE DELLEDONNE (a. 86)
CARLO VERGANTI (a. 93)
GIUSEPPE CHIEPPA (a. 82)
STELIO FRATI (a. 90)
RAFFAELLA CARTIGLIANI ved. BRESCIA (a. 88)
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