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Come
albero
notiziario
mensile parrocchiale
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PREGHIERA
DELL'ANZIANO
Quela Vecchietta ceca, che incontrai
la notte che me spersi in mezzo ar bosco,
me disse: “Se la strada nu’ la sai,
te ciaccompagno io, ché la conosco.
Se ciai la forza de venimme appresso,
de tanto in tanto te darò una voce
fino là in fonno, dove c’è un cipresso,
fino là in cima, dove c’è la Croce…”
Io
risposi: “Sarà… ma trovo strano
che me possa guidà chi non ce vede …”
La Ceca, allora, me pijò la mano
e sospirò: “Cammina!”
Era
la Fede.
TRILUSSA
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LA
VERTIGINE DI PASQUA
In
queste ultime settimane prima della Pasqua penso con insistenza
alla notte pasquale e al triplice annuncio che canterò: Cristo
Signore è risorto. E mi vengono alla mente le parole di san Paolo:
«Se Cristo non è risorto, vuota allora è la nostra fede» (1Cor
15,14). La nostra fede sta o cade su questa parola: Cristo è risorto
dai morti. Confesso che questa parola che pure mi è familiare
mi dà come le vertigini. Perché è una parola che, a differenza
di quasi tutte le altre che stanno nel vocabolario e che adopero,
ha un contenuto che fatico a comprendere. Quasi tutte le parole
che adopero sono ricavate dall’esperienza, descrivono situazioni
che ho visto, conosciuto e spesso toccato con mano. Certo, se
dico Monte Sinai, parlo di una montagna di cui ho letto molto,
ho visto stupende immagini, amici sono saliti sulla sua cima e
speravo di andarci il prossimo settembre. Purtroppo le difficili
condizioni di quei luoghi sconsigliano il viaggio. Non ho mai
messo i piedi sul Sinai ma non dubito della sua esistenza. Quando
dico: Risurrezione, ripeto una parola contenuta nei Vangeli, ripetuta
dagli Apostoli e in tutti questi secoli da innumerevoli credenti.
Ma
qual è il suo contenuto? E qui cominciano le mie difficoltà: perché
non ho alcuna esperienza di una vita dopo la morte. Della morte
ho esperienza. Sul cassettone davanti alla mia scrivania, dove
proprio ora sto scrivendo, non vi è quasi più spazio per le fotografie
dei miei morti. Ho davanti agli occhi i loro volti, ricordo tanti
episodi della mia vita con loro: ma con la loro morte un grande
silenzio è sceso in me. Con loro non posso più parlare e proprio
questa è la morte: la fine di quella comunicazione che è la nostra
vita quotidiana. E invece la nostra fede afferma che quell’uomo
che è stato messo a morte su una croce e poi deposto in un sepolcro,
quell’uomo è vivente. I suoi discepoli rassegnati ormai alla sua
morte lo hanno visto, con Lui hanno parlato, davanti a loro ha
mangiato una porzione di pesce arrostito, anzi uno di loro ha
messo il suo dito esitante proprio nel foro dei chiodi, nella
ferita del fianco. Credo a loro, ai discepoli che l’hanno visto
e che, forti di questa incredibile certezza, hanno dato la vita
per Lui.
Credo
a loro, ma avverto come “vertiginoso” l’annuncio pasquale mentre
sento con tutte le fibre della mia umanità la passione e la morte
del Signore. Baciando il Crocefisso stringo in un abbraccio tutti
i miei morti mentre non posso, come Maria di Magdala, abbracciare
le ginocchia del Risorto. E poi mi guardo intorno e mentre vedo
una selva di croci e innumerevoli Calvari di tanti “poveri Cristi”,
gli occhi faticano a scorgere i segni della Pasqua. Lo scenario
è desolato. Ma anch’io come innumerevoli miei confratelli nella
notte della Pasqua ripeterò l’annuncio incredibile: “Cristo Signore
è risorto”. E ci scambieremo gli auguri con la luce negli occhi.
Perchè lo faremo? Ho trovato la risposta in un suggestivo racconto
di Moni Ovadia: «La seconda guerra mondiale è finita, finito il
nazismo e in un caffè viennese un signore ebreo chiede al cameriere
il giornale del Partito nazionalsocialista, il giornale di Hitler.
Naturalmente il cameriere risponde che quel giornale non esiste
più. Nei giorni seguenti quel signore ritorna nello stesso caffè
e chiede, ancora, il medesimo giornale. Identica la risposta del
cameriere. Dopo alcuni giorni il cameriere domanda: “Ma perché
ogni giorno mi chiede quel giornale se ogni giorno le ripeto che
non esiste più?” E il signore ebreo risponde:”Voglio sentirmi
dire ogni giorno che non esiste più”».
Vorrei
che ognuno di noi, pur assediato da tanti, troppi segni di degrado,
di disumanità, di morte, custodisse il desiderio di sentirsi ripetere
che anche le esperienze più devastanti possono esser fermate,
che è possibile arginare il male con la forza inerme dell’amore.
Vorrei che ognuno di noi portasse nel cuore il desiderio di sentirsi
dire che la morte non è l’ultima e decisiva parola della nostra
vicenda umana, anzi: «Noi sappiamo d’esser passati dalla morte
alla vita perché amiamo i fratelli».
Proprio
in questi ultimi giorni ne ho fatto l’esperienza. Visito una famiglia
e la signora mi racconta la sua storia di bambina orfana di entrambi
i genitori e data in affido ad una signora che la cresce, la porta
fino al matrimonio, anzi continua ad accogliere in casa la nuova
famiglia. Non contenta questa donna, colpita da una devastante
metastasi che la porta alla morte, dispone che la sua casa passi
alla nuova famiglia che ora la abita. Amore disinteressato, gratuito
non dettato da vincoli di sangue ma da pura benevolenza. Sono
tornato a casa pedalando felice.
don
Giuseppe
LE
CELEBRAZIONI DELLA SETTIMANA SANTA
1
APRILE DOMENICA DELLE PALME
ore 9.45 presso i giardini di via Pinturicchio
(Ramelli): Benedizione degli ulivi, cammino verso la Chiesa
e
S. Messa delle Palme
LUNEDÌ,
MARTEDÌ E MERCOLEDÌ SANTO
ore 8.45 Lodi mattutine
i sacerdoti saranno disponibili per le confessioni dalle ore 9.30
alle 11.00 e dalle ore 16.00 alle 18.00
5
APRILE GIOVEDÌ SANTO
ore 8.45 Lodi mattutine;
ore 9.00 Liturgia della Parola;
confessioni dalle ore 9.30 alle ore 11.00
ore 19.00 S. Messa nella Cena del Signore preceduta dalla Lavanda
dei piedi
La Chiesa rimane aperta per l’adorazione personale fino a mezzanotte
6
APRILE VENERDÌ SANTO
ore 8.45 Lodi mattutine;
ore 9.00 e ore 15.00 Via Crucis
confessioni dalle ore 9.30 alle ore 11.00
ore 19.00 Liturgia della Passione e Morte del Signore
7
APRILE SABATO SANTO
ore 8.45 Lodi mattutine;
ore 9.00 Liturgia della Parola;
confessioni dalle ore 9.30 alle ore 11.00
ore 21.00 Veglia e S. Messa della Risurrezione
con il conferimento dei sacramenti dell’iniziazione cristiana
8
APRILE DOMENICA DI PASQUA
le S. Messe seguono l’orario festivo
9
APRILE LUNEDÌ DELL’ANGELO
le S. Messe alle ore 8.30 - 11 - 18
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LE
CENERI
omelia
di don Giuseppe nella I domenica di Quaresima
nel giorno del suo 70° compleanno
sabato 25 febbraio 2012
(Is 57,21-58,4a; 2Cor 4,16b-5,9; Mt 4,1-11)
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LA
SAGGEZZA DELL'ANZIANO NELLA FAMIGLIA
don Giovanni Barbareschi
Giovedì 1 marzo u.s. abbiamo
vissuto il secondo appuntamento della nostra comunità in preparazione
al VII Incontro Mondiale delle Famiglie che si terrà a Milano
il prossimo maggio. Il dialogo, cortesemente trascritto dal sig.
Bruno Natali, che ringraziamo, non è stato rivisto dall’Autore.
Non aspettatevi da me una lezione, ma molto più semplicemente
un racconto. Ho novant’anni e voglio raccontarvi qualcosa della
mia vecchiaia. Qualche volta affiora la tentazione di dire a me
stesso che non è vero, che per ora continuo a star bene di salute
come prima, che non devo pensarci troppo… poi però si accumulano
piccole novità che mi riportano alla realtà. Si comincia con la
difficoltà a leggere i caratteri più piccoli di un libro o di
un giornale, poi si ha l’impressione che da un orecchio i suoni
acuti siano meno percepiti… Alla sera il sonno tarda a venire
e quando finalmente giunge, dura poche ore: ci si sveglia e si
scopre che si può restare distesi a letto a lungo, senza però
dormire… La giornata inizia senza la determinazione di una volta
in cui ci si proiettava sul “da farsi”… I primi passi dal letto
verso i riti tradizionali del risveglio sono lenti. Ma se si è
capaci di sostare un attimo a guardare sul davanzale o dalla finestra,
si può scorgere una pianta, il vaso di gerani che coltiviamo,
oppure un biglietto o una cartolina che ci è appena arrivata…
la nostra giornata così si illumina. Le forze cominciano a diminuire:
alcuni lavori un tempo normali ci richiedono ora un aggravamento
di fatica… Così per alcuni mesi tutto sembra continuare come prima,
poi di colpo ci si trova uno scalino più sotto…
La
vecchiaia è per ciascuno di noi una novità inedita, nuova. In
ogni caso non è il numero degli anni che ci fa sentire vecchi,
quanto la diminuzione delle forze e la perdita di molte relazioni:
alcuni coetanei se ne sono andati prima di noi, altri sono isolati
da una malattia, altri ancora sentono più difficoltoso colmare
le distanze per un nostro incontro. Queste verità, accolte con
lealtà, ci impediscono di rifugiarci in un patetico ricorso al
“sentirsi giovani dentro”, o nell’ancora più ridicolo ricorso
a un “restauro estetico” che fornisce solo un’ulteriore maschera
al nostro cambiamento. Riconosco lealmente che attualmente ho
accettato la mia vecchiaia, senza sentimenti di nostalgia né di
rassegnazione, e la penso come una spogliazione da molte cose:
è giusto che io impari a vivere non più come prima perché ogni
età ci chiede ritmi, azioni, impegni diversi. Accettare una certa
spogliazione significa acconsentire ai mutamenti necessari per
vivere nel presente, aderendo all’umile realtà del quotidiano,
continuare ad accettare di amare gli altri e di ricevere amore
dagli altri, anche se il loro numero si va assottigliando. Nella
seconda lettera ai Corinti (4,16) san Paolo scrive: «Se il mio
uomo esteriore si va disfacendo, c’è un mio essere interiore che
può rinnovarsi di giorno in giorno». Un nuovo essere? Sì, una
nuova forma di vivere. Nell’invecchiare, infatti, si sente il
peso del passato, le ferite sofferte si fanno sentire e ricordare
più delle sempre brevi e fugaci ore felici. Allora si è tentati
soprattutto dal cinismo: “vale la pena?” Contro la tentazione
del cinismo che ci assale c’è bisogno di grandezza d’animo, di
quella capacità di “sentire in grande” che, se coltivata con cura
anche nella vecchiaia, è il miglior antidoto all’immiserimento
che il cinismo porta con sé. Accanto al cinismo c’è anche la tentazione
dell’egoismo che con l’incalzare della vecchiaia si presenta usando
parole nuove e allettanti: “Fin’ora ho pensato agli altri, alla
famiglia, ai figli… adesso è ora che pensi a me stesso!”. A queste
tentazioni del cinismo e dell’egoismo si risponde con un nuovo
impegno: si tratta di imparare a invecchiare così come abbiamo
imparato a essere bambini, poi giovani, poi uomini e donne maturi.
Per
amare l’autunno della vita è indispensabile imparare l’arte del
congedo. È in questo senso che ciascuno ha il proprio modo per
invecchiare. La vecchiaia è un cammino aperto davanti a noi: a
ciascuno il suo sentiero, a ciascuno il suo modo di invecchiare.
Vi è però un dato che può accomunare tutti gli anziani: il nostro
tempo può essere segnato maggiormente dalla gratuità, dall’esercitarsi
alla capacità di stupore attraverso ore che non sono più di semplice
pensiero, ma di contemplazione. Fermarsi a guardare un albero,
a guardare dei sassi cui non abbiamo mai prestato attenzione e
che ora ci appaiono come all’improvviso, nonostante siano là da
decenni, silenziosi e fedeli accanto a noi, sulla nostra strada,
è un’operazione che la vecchiaia ci può portare in dono ogni giorno.
Può accomunare tutti gli anziani anche l’esercitarsi pazientemente
alla tenerezza, a quelle risposte che sbocciano precedute da un
sorriso e poi porgono una parola buona, esercitarsi a offrire
la propria presenza, anche solo silenziosa. È questo che possiamo
fare, perché abbiamo più tempo, perché non siamo più presi nel
vortice delle cose da fare, perché vogliamo gustare maggiormente
il tempo presente. Il nostro passato, meditato, riletto, messo
a confronto, aiuta la nostra sapienza a divenire sempre più un
distillato di eventi, sentimenti, azioni, parole, vagliate al
crogiolo dell’esistenza, purificate, diventate essenziali. Tutto
ciò portiamo con noi e non è destinato a morire con noi, ma a
restare, perché abitato da un vissuto che è permeato di vita,
è divenuto più forte della morte. Quando si è vecchi viene naturale
riflettere sul proprio passato, perché quello pesa più del futuro
che è poco e del presente che fugge: proprio i ricordi sono la
grande ricchezza dei vecchi. Se nell’invecchiare ci si esercita
a sapere che si è vecchi (mentre quando si è giovani non si sa
che cosa si è), se si acuisce in noi il sentimento del tempo che
passa, allora si può ritrovare se stessi e scoprire così il gusto
della vecchiaia. Nasce spontanea in noi una sorta di attenzione
che legge le quotidiane defezioni, le piccole umiliazioni, le
impossibilità crescenti, ma cerca di compaginare tutto questo
con la gioia che viene dagli incontri, dai rapporti con gli amici,
dall’affetto dei familiari. Invecchiare bene significa invecchiare
consapevolmente continuando a curare uno stile di vita dignitoso,
con la lucida coscienza che un uomo, una donna sono tali dalla
nascita alla morte e il cammino che fanno vale la pena di essere
percorso e di condividerlo con altri. È in questo modo che ogni
anziano può diventare il punto di riferimento nella vita di una
famiglia. Non ho paura di affermare che il ricovero in una casa
per anziani deve essere un’eccezione e che ogni anziano dovrebbe
poter invecchiare nella sua famiglia, accanto ai suoi figli e
ai suoi nipoti. E ogni casa per anziani raggiungerà la sua finalità
solo quando saprà ripetere la vita di una famiglia.
90
anni …
Comincio a precisare che invecchiando non ci si avvicina alla
fine, ma all’eterno. Se io cerco in questi 90 anni qualcosa che
mi possa qualificare come persona, direi che la parola significativa
è una sola: la fede. Io sono uno che ha creduto e che crede. Alla
parola fede do prima un significato umano, poi un significato
religioso. Un significato umano: ho creduto e credo nella mia
libertà, ho creduto e credo che ogni persona è libera e che questa
libertà fonda e qualifica la grandezza e la unicità di ogni essere
umano. Ciascuno di noi è una parola che Dio ha detto una volta
sola, ciascuno di noi è irripetibile ed eterno. Io credo nell’amicizia,
io credo nella lealtà, io credo nella libertà di ogni persona.
Fatta questa premessa, vorrei tentare di rispondere a un’ipotetica
domanda: don Giovanni, come invecchiare bene? Prima di tutto si
tratta di accettare la vecchiaia, e non solo di subirla. Non dobbiamo
temere di diventare vecchi, quasi mascherando la nostra vecchiaia,
quasi simulando una giovinezza che non c’è più e invidiando chi
ha una vita ancora “piena” solo perché più produttiva. Diventando
vecchio certamente vedo un po’ meno, sento un po’ meno, ma capisco
un po’ di più perché abbraccio la totalità della vita, avendo
compreso che la realtà è fatta di mistero e non di evidenza. L’evidenza
è sempre e solo la superficie della realtà. Diventando vecchi
si cambiano i ritmi dell’esistenza e si possono capire meglio
la poesia e l’arte. Diventando vecchi si diventa capaci di contemplare.
Contemplando il lungo periodo della mia vita, direi che l’infanzia
e l’adolescenza sono periodi di ascolto. Poi viene la maturità,
il momento del fare. Da ultimo la vecchiaia, il momento dell’essere
completo.
Quando
ero giovane, guardando una montagna, desideravo dominarla con
la mia salita, con la mia presenza in cima (e il Campanile Basso
del Brenta ne sa qualcosa)… Oggi sono capace di contemplare quel
Campanile senza provare invidia o gelosia. Anche la mia fede è
invecchiata. Oggi ho una fede meno curiosa e precisa nel suo aspetto
intellettuale, ma più profonda nel suo aspetto esistenziale. Ho
una fede che risponde a tutte le esigenze della persona e meno
privilegiante il solo aspetto intellettuale. Ho una fede trasudante
misericordia anche se meno giuridicamente definita, una fede che
crede nel mistero di ogni strada quale possibilità di arrivare
a Dio. A questo arrivo non con l’acutezza dell’intelligenza, ma
con la profondità della saggezza. Il vecchio saggio non è aggressivo,
ma irradiante, non tiene sotto controllo la realtà, non la domina,
ma lascia che essa si riveli. Accettare interiormente di invecchiare
non è facile, perché non è naturale accettare la solitudine e
accettare la non completa autonomia di vita. In queste difficoltà
è certamente di aiuto e di sostegno una fede matura ed autentica.
Fede che il poeta Trilussa rappresenta come una vecchietta che
si fa incontro ad un giovane che non conosce la strada da percorrere
nel bosco della vita [il testo integrale della poesia è riportato
nella prima pagina di questo notiziario. n.d.r.]
La
discussione
Lei è stato per moltissimi anni educatore di giovani. Quali
suggerimenti ci può dare?
Mi
pare che ai giovani di oggi manca la possibilità di rischiare,
non rischiano più niente. Se io ricordo la resistenza, la ricordo
proprio come un periodo nel quale ho dovuto rischiare. Rischiare
per un documento falso che facevo, rischiare per un ebreo che
accompagnavo in territorio elvetico, rischiare per uno che era
un prigioniero inglese o americano andava salvato, rischiare.
Oggi certamente non è che io auguri quelle evenienze e quelle
situazioni, ma possibile che non si è più capaci di rischiare
e che di fatto non si rischi più niente? Come mai? Perché? Uso
una parola che non è propria: perché stiamo troppo bene? Perché
preferiamo addormentarci? Ecco a me pare che ai giovani di oggi
bisognerebbe insegnare a nuotare e non solo a fare il morto, che
è una cosa diversa, non solo a galleggiare! E voi genitori andateci
piano a farli galleggiare, devono nuotare, devono avere una meta,
devono dire “io vado là”, indicare… È meglio nuotare verso una
meta sbagliata che fare il morto, è meglio e ve lo dice un prete.
Perché nuotare vuol dire fissare una meta, fissare uno stile,
fissare dei movimenti, nuotare e avere la gioia di arrivare, di
conquistare. È questo che mi pare manchi alla gioventù di oggi.
La capacità di rischiare, di nuotare: si accontentano di galleggiare.
Questa
sera ha parlato di una fede matura: c’è qualcosa che uno può fare
per acquisirla?
Bisogna credere nella propria libertà e cercare di attuarla. Ogni
nostro gesto, ogni nostra parola o è un atto di libertà o è un
atto che ci rende schiavi. Schiavi dell’abitudine, schiavi della
moda, schiavi di “lo fanno tutti”. Ecco, bisogna credere nella
propria libertà. Noi preti abbiamo la colpa di non avervi educato
a fare bene l’esame di coscienza. L’esame di coscienza da fare
veramente è, oggi, quali sono stati i miei atti liberi e quali
i miei atti condizionati? Nella giornata di oggi quale è stato
per me un atto libero voluto, desiderato, atteso, perfezionato?
E quale invece è stato un andare avanti, un’abitudine? Ci si abitua
a tutto, e ve lo dice un prete, anche a dir Messa ci si può abituare,
anche a far la Comunione ci si può abituare, o a non farla. Ecco
l’importante, per rispondere alla sua domanda, è continuare ad
amare la propria capacità di persone libere e riflettere sui gesti
che compio, sulle azioni che compio, riflettere e non dare nulla
per scontato.
Ho
l’occasione di frequentare una residenza per anziani e le persone
che sono ospitate hanno bisogno soprattutto di qualcuno che li
ascolti. Come di fronte a questo tipo di vecchiaia ci si può porre
per dare una parola di speranza come quella che ho sentito da
Lei questa sera?
Parola di speranza. Secondo me il metodo più vero è la presenza.
Io non farei mai un discorso come quello che ho fatto stasera,
in una casa per anziani. Non mi sentirei neppure di parlare, però
andarci si, lei fa bene ad andarvi e la parola di speranza non
è la parola, è lei, è la sua presenza. Se tutti noi fossimo presenti
a loro, forse il loro dolore fisico o psicologico potrebbe diminuire.
Ma io credo che in quei casi solo silenzio e presenza, niente
altro.
Non
crede che la capacità di sentirsi liberi dipenda dall’amore, cioè
se una persona non è amata non può sentirsi libera? Questo
è certamente vero, però una persona è sempre amabile. Se Lei incontra
una persona che non è amata, Lei la può amare. L’amore è possibile
e quella persona, sentendosi amata, si sveglierà alla libertà.
Ecco perché io dico che la fede la devo alla mia mamma e ringrazio
il Seminario che non me l’ha fatta perdere. Ma la fede la devo
alla mia mamma. mi sono sentito amato, amato dalla mamma, amato
dal papà e sentirsi amato è l’inizio di una vita umana.
Lei
dice: “Sentirsi amato…” ma è proprio questo che spesso manca.
Lei va sulla metropolitana non le cedono il posto a sedere, quindi
vuol dire che non fanno attenzione alla persona che è più debole
...
Scusi se interrompo, ma quando sono salito sulla metropolitana
qualche anno fa e una mamma ha detto al bimbo “alzati e lascia
il posto al nonno”, io ho capito di essere diventato vecchio.
Chiudo la parentesi. Prego continui pure.
Beh, io ho dovuto chiedere a dei ragazzi, se mi lasciavano
sedere, anche perché avevo male a un piede.... La fragilità di
certi giovani io credo sia data anche dal fatto di non aver fatto
dei cammini, anche faticosi...
La differenza tra noi e loro, tra noi e i giovani di oggi, è che
noi volevamo camminare, loro vogliono arrivare. Diverso! A loro
preme arrivare. Subito, presto, immediatamente, arrivare, l’importante
è arrivare, mentre per noi l’importante era camminare, che è un’altra
cosa.
Amare
è una cosa, diciamo un atto attivo, essere amati non è così scontato
perché presuppone che siano gli altri ad amarti. Se uno, non è
il mio caso per fortuna, ma se uno non fosse amato, non potrebbe
essere libero? O comunque, se uno non fosse amato, come potrebbe
farsi amare?
La risposta è sul piano della fede. Fede che mi porta a dire che
Dio mi ha creato e che questa creazione è un atto d’amore. Non
era obbligato a crearmi e io scopro, rifletto su di me e dentro
di me trovo la prima domanda: chi sono, perché esisto, come mai?
A queste domande risponde solo una fede. Non risponde la scienza,
ma risponde solo una fede che trova il perché della mia vita.
Io sono generato da qualcuno che mi ha generato per amore, perché
non era obbligato a generarmi, non era condizionato a generarmi.
E questa è la prima scoperta. Poi, la seconda: cercare qualcuno
che mi voglia bene. Ma forse la vera scoperta è cominciare a voler
bene. Sei tu puoi amare, tu chiunque tu sia, puoi amare un altro.
L’altro risponderà? Non risponderà? Non lo so! Ma tu cercando
di amare fai un atto libero, quindi la tua libertà è generata
dal fatto che tu ami, non dal fatto che tu sei amato. È diverso!
Tu che ami generi la tua libertà, poi sarai anche amato e quello
sarà un secondo momento.
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GIOVEDÌ
29 MARZO ALLE ORE 21
in preparazione all’Incontro Mondiale delle Famiglie
LA FAMIGLIA NELL’ESPERIENZA DELLA DIFFICOLTÀ
con Mariolina Ceriotti Migliarese,
neuropsichiatra infantile e psicoterapeuta.
in oratorio con ingresso da via Nöe e via Pinturicchio
VIAGGIO
IN PORTOGALLO
La
difficile situazione mediorientale non consente un viaggio tranquillo
al Sinai come avevamo programmato. Proponiamo un viaggio in Portogallo
con sosta a Fatima.
PROGRAMMA
PROVVISORIO DEL VIAGGIO:
1° Giorno: MILANO PIAZZA BERNINI – AEROPORTO DI MILANO – LISBONA
- SETUBAL -EVORA
Ritrovo dei partecipanti e trasferimento in pullman all’aeroporto
di Milano. Partenza con volo di linea per Lisbona. Arrivo e incontro
con la guida-accompagnatore locale. Tour panoramico per Lisbona
e partenza in pullman privato verso Evora. Sosta a Setubal, terzo
porto del Portogallo. Pranzo in ristorante e visita guidata. Nel
pomeriggio partenza per Evora. Arrivo, sistemazione cena e pernottamento
in hotel.
2°
Giorno: EVORA – TOMAR – FATIMA
Mattina dedicata alla visita guidata di Evora, con i suoi antichi
reperti romani. Pranzo in ristorante. Nel pomeriggio proseguimento
per Tomar, graziosa cittadina dell'antico Ribatejo sulle rive
del rio Nabao, con un bel centro storico dominata da un castello-fortezza
dei Templari. Visita del Convento dell’Ordine di Cristo, testimone
delle vicende dei templari. La chiesa dei Templari, all’interno
del complesso conventuale, si rifà per la struttura alla chiesa
del Santo Sepolcro di Gerusalemme. Al termine proseguimento per
Fatima. Arrivo, sistemazione cena e pernottamento in hotel.
3°
Giorno: FATIMA
Trattamento di pensione completa in hotel. S. Messa presso la
Capelinha. Al mattino Via Crucis e visita ai luoghi dei Tre Pastorelli
- Valinhos, luogo delle apparizioni dell’ Angelo e della Vergine
e Aljustrel, villaggio natale dei patorelli. Pranzo in hotel.
Nel pomeriggio visita del Santuario e della Chiesa della Santissima
Trinità. Dopo cena recita del S. Rosario e fiaccolata. Al termine
rientro in hotel. Pernottamento.
4° Giorno: FATIMA – Esc. a Batalha - Alcobaca - Nazaré - Obidos
- LISBONA
Partenza per la visita al celebre monastero di S. Maria della
Vittoria a Batalha uno dei più grandi complessi monumentali in
Europa. Proseguimento con la visita dell’imponente Abbazia Cistercense
ad Alcobaca che fu fulcro e culla della cultura portoghese. Quindi
proseguimento per la spiaggia tipica di Nazarè e visita di questo
pittoresco villaggio di pescatori situato sull’ Oceano Atlantico
i cui abitanti indossano ancora i costumi tradizionali. Pranzo
in ristorante in riva all’oceano. Nel pomeriggio trasferimento
a Obidos, borgo medievale con cinta muraria. Si continua fino
ad arrivare a Lisona. Sistemazione, cena e pernottamento in hotel.
5°
Giorno: LISBONA
Visita guidata della città e del Museo Gulbenkian.
6°
Giorno: LISBONA - Cascais - Estoril - Sintra - Cabo de Roca -
LISBONA
Intera giornata di escursione lungo la costa atlantica. Sosta
nelle graziose località balneari di Cascais e Estoril, rinomate
per le bellissime spiagge. Arrivo a Sintra, perla del Portogallo
e residenza estiva dei sovrani portoghesi. Nel pomeriggio si prosegue
per Cabo de Roca situato a 140 m sul mare. Rientro in hotel a
Lisbona. Cena e pernottamento.
7°
Giorno: LISBONA – AEROPORTO MILANO – PIAZZA BERNINI
Prima colazione in hotel. Al mattino visita della parte nuova
della città, quindi trasferimento in aeroporto a Lisbona e partenza
con volo di linea per Milano. Arrivo a Milano e trasferimento
con pullman privato in sede.
QUOTA INDIVIDUALE DI PARTECIPAZIONE
a seconda del numero di partecipanti si varia da € 1.030 a 1.160
SUPPLEMENTO CAMERA SINGOLA € 200
La quota individuale di partecipazione include:
transfer privato da e per l’ aeroporto di Milano Linate
volo di linea TAP a/r Milano – Lisbona/Lisbona – Milano, in classe
economica
tasse aeroportuali
tour in bus GT locale, come da programma, dotato di ogni comfort
a bordo
6 notti di sistemazione in hotel 3/4 stelle nelle località come
da programma
trattamento di pensione completa dal pranzo del 1° giorno alla
prima colazione del 7° giorno
bevande incluse ai pasti
ingressi e visite come da programma
guida locale parlante italiano, come da programma
assicurazione medico-bagaglio 24 ore su 24 “Amitour”
omaggio dell’agenzia
La
quota individuale di partecipazione non include:
bevande extra, mance, extra di carattere personale tutto quanto
non indicato ne “la quota individuale di partecipazione include”
Note
generali:
Offerta senza blocco posti
Per questo viaggio è richiesta la Carta d’Identità in corso di
validità; non è valida la carta d’identità rinnovata con timbro
(in tal caso si suggerisce di riemettere il documento oppure di
viaggiare con passaporto, che non necessita di bollo all’interno
della comunità europea)
Nessun rimborso è previsto nel caso in cui i partecipanti non
fossero in possesso dei documenti in regola per il viaggio il
giorno della partenza
1 mese prima della partenza è necessario consegnare all’agenzia
Diomira Travel la fotocopia del documento di ciascun partecipante
Per la parte normativa (annullamenti, penalità, etc.) valgono
le nostre condizioni generali di viaggio e le leggi che regolamentano
il turismo
Termini
di pagamento:
ACCONTO 25% ALLA CONFERMA DEL VIAGGIO
SALDO 40 GIORNI PRIMA DELLA PARTENZA
VENERDÌ
13 APRILE ORE 21
COMINCERÀ IL NUOVO CICLO DI INCONTRI
PER LA PREPARAZIONE AL MATRIMONIO
informazioni in ufficio parrocchiale
NOTIZIE
DALL'ORATORIO
Può
sembrare presto…
ma già molti mi chiedono cosa succederà in estate per l’oratorio!!!!
Ecco le proposte!
L’ORATORIO IN FESTA
Domenica 10 giugno dalla S. Messa delle ore 10
Pranzo insieme - Giochi
Se sarà possibile il pranzo e i giochi per strada!!!
ORATORIO
ESTIVO 2012
Sono previste due settimane di oratorio estivo:
prima settimana: dal 11 al 15 giugno
seconda settimana: da 18 al 22 giugno
MONTAGNA
INSIEME
Quest’anno torneremo a SAUZE D’OULX - SALICE D’ULZIO (TO)
per le elementari: terza - quarta - quinta da lunedì 25 giugno
a sabato 30 luglio
per le medie e superiori da sabato 30 giugno a venerdì 6 luglio
Informazioni e iscrizioni in Oratorio!
BATTESIMO NELLA VEGLIA PASQUALE
Nel corso della Veglia Pasquale accoglieremo con il battesimo,
la confermazione e l’eucaristia, un giovane studente che abita
nella Casa dello Studente di viale Romagna e in questi due anni
si è preparato con noi a ricevere i sacramenti che “fanno” il
cristiano.
Mi
chiamo Mert Tüfekçi, sono nato il 4 agosto 1985 a Uskudar - Istanbul,
Turchia. In questo momento mi trovo a Milano per la laurea specialistica
al Politecnico di Milano in Inge-gneria di Informatica. Vengo
da una famiglia musulmana e ho ricevuto una formazione religiosa
islamica. La mia famiglia ha cercato di crescermi come un musulmano
fedele, nelle elementari seguivo il corso nella moschea del quartiere
ogni estate. Posso leggere il Korano e direi di conoscere bene
la dottrina islamica.
Il
mio cammino verso Gesù è cominciato circa 3 anni fa con la mia
voglia di essere un bravo musulmano. Sì, riuscivo a leggere il
Korano, nell’arabo del settimo secolo però non capivo cosa mi
stava dicendo. Credevo fortemente che le parole lì scritte erano
le parole dettate da Allah stesso e credevo che fosse la mia guida
di vita. Perciò ho cominciato a leggerlo in turco. Dopo qualche
capitolo ho chiuso il libro, mi sono detto “non posso credere
in quello che è scritto dentro”. La lontananza da Dio, la vio-lenza
di Dio per ogni colpa dell’essere umano, il paradiso materialista
con le vergini e i fiumi di miele e vino sono alcuni dei tanti
motivi per cui non potevo credere nel Korano. Da quel momento
ho passato un periodo deista. Credevo ancora in Dio ma non avevo
più l’amore per lui dentro di me, lo odiavo anche. Credevo in
lui, ma non mi interessava minimamente. Però il deismo non nutriva
la mia anima. Cercavo una via d’uscita da quella mia situazione.
Proprio in quel tempo mio padre ha subito un’operazione alla prostata
e ho dovuto io accompagnarlo in ospedale. Avevo scaricato i vangeli
nel mio iPod e ho letto i vangeli secondo Marco, Matteo e Luca
in ospedale. Il linguaggio del Vangelo, la misericordia di Gesù
mi ha accolto subito. La mia formazione islamica non mi permetteva
però di credere in tutto ciò che c’era scritto nel Vangelo. Non
potevo accettare che un essere umano fosse il Dio. Cercando la
risposta ho letto altri libri sull’argomento. Nel frattempo sono
andato nella Basilica di S. Antonio ad Istanbul e ho conosciuto
un vecchio prete della chiesa, don Luigi Iannitto, un ottantenne
dolcissimo che mi ha accolto subito. Ho cominciato a parte-cipare
alla messa le domeniche. Essendo una comunità piccola, la comunità
cattolica ad Istanbul, tutti conoscevano tutti ed era come una
piccola grande famiglia. Mi sono trovato accolto. C’erano i cattolici
turchi, armeni, e greci nella comunità. Sentivo di aver trovato
quello che cercavo. Diverse lingue e un solo linguaggio, quello
del Vangelo.
Proprio
in questo periodo ho fatto la domanda al Politecnico di Milano
e sono stato ammesso, sei mesi dopo dovevo partire per l’Italia
e non ho cominciato il corso per la conversione ad Istanbul. Mi
hanno consigliato di cominciare il cammino a Milano. Appena arrivato,
nel set-tembre 2010, sono andato nella parrocchia vicino a casa
mia, San Giovanni in Laterano e così ho conosciuto il carissimo
don Giuseppe Grampa con cui ho fatto tutto il mio cammino di fede.
Nel cristianesimo ho trovato l’impegno per la pace. Mi dispiace
molto dire che nell’Islam c’è la guerra, c’è jihad. La tolleranza
degli insegnamenti della Chiesa verso le altre religioni mi fanno
sempre avvicinare più alla Chiesa. Vedere in una chiesa cattolica
dei simboli ebraici e islamici per una conferenza interreligiosa,
sentire un sacerdote cattolico dire sulla TV “trovo molto bello
che i musulmani preghino Dio cinque volte al giorno” mi fioriscono
le speranze della pace dentro di me. Ogni volta che parlo con
un linguaggio poco giusto, poco piacevole, poco educato sull’Islam
mi viene subito in mente cosa mi insegna la Chiesa. Posso fare
la guerra con delle armi però devo costruire la pace, devo essere
uno strumento per la costruzione della pace.
Dopo aver conosciuto il perdono di Gesù, la sua misericordia e
il suo cuore pieno di amore due frasi sono diventate la mia guida.
«Non ci indurre in tentazione ma liberaci dal male» e «Amare il
Dio e il prossimo». Io, come molte persone, mi arrabbiavo molto
facilmente e con l’inizio della mia conversione del cuore mi forzavo
di non arrabbiarmi con le persone, non trattarle mai male, trattarle
dignitosamente perché Gesù stesso era pronto per perdonare pure
le persone che l’avevano crocifisso. Non posso non perdonare io
se voglio essere il figlio di Dio devo essere un figlio onorevole,
che asso-miglia al suo Padre. Per me il Dio era un creatore, un
onnipotente da temere sempre. Era molto lontano e pure nel paradiso
non si viveva con lui, lui non rivolge mai il volto. Il cristianesimo
mi ha insegnato che il Dio non è lontano, è vicino. È lui che
si è avvicinato a noi. È lui che ci vuole con sé. E siamo noi
che ci allontaniamo da lui. Quando penso a Dio, penso ad un sorriso
caloroso. Sono adesso arrivato alla fine di un cammino che mi
porta ad un cammino di lunghezza di una vita. Voglio ricevere
il Battesimo, perché voglio riceve lo spirito di Gesù, voglio
essere un figlio di Dio e vivere con lui dopo la morte della mia
carne. Voglio che mi guidi il Dio con un cuore puro. Voglio ricevere
il Battesimo perché voglio ricevere l’Eucaristia e rimanere in
comunione con Gesù.
RENDICONTO
ECONOMICO 2011
della Conferenza di San Vincenzo de Paoli “Beata
Vergine di Pompei”
L’anno
appena trascorso è stato turbato da avvenimenti e circostanze
che hanno pesato anche sulle nostre attività; in particolare con
i problemi del lavoro e con le sempre più scarse risorse economiche.
Le richieste che ci pervengono sono pressanti ma, purtroppo, difficili
da soddisfare. Raccogliamo segnalazioni di offerte di lavoro da
ogni fonte, ma spesso non si giunge a conclusioni positive.
Le situazioni economiche dei nostri amici-assistiti sono spesso
così pesanti che ci inducono a dare la priorità, nei nostri interventi,
al pagamento di bollette di luce, gas e affitto per impedire che
la scarsa disponibilità dei mezzi induca a privilegiare l’acquisto
di ciò che non è indispensabile o a sperare nella “fortuna” del
gioco.
Nell’esercizio della carità ricordiamo l’insegnamento del fondatore
delle Conferenze di San Vincenzo, il beato Federico Ozanam, per
il quale i bisognosi debbono essere aiutati con amore e dedizione
a superare le proprie difficoltà, ma anche spronati a cercare
di rendersi autonomi: il nostro aiuto, insomma, non dovrebbe essere
“a tempo indeterminato”.
La nostra partecipazione – fatta di comprensione e di aiuto economico
– reca conforto a chi si sente solo davanti a tante difficoltà,
ma la nostra opera sarebbe limitata se non fossimo appoggiati
dal parroco, che ci ospita e che, partecipando alle nostre riunioni,
commenta un brano del Vangelo, dai sacerdoti e dai parrocchiani
ai quali, tutti, dobbiamo un “grazie” particolare per la generosa
sensibilità con la quale rispondono alle nostre richieste.
È valida e costante la collaborazione con la “Caritas” e con l’associazione
“La tenda”, che si occupa prevalentemente di problemi degli anziani
e con la quale scambiamo esperienze e informazioni. Manteniamo
costanti buoni rapporti con le assistenti sociali che operano
in zona, con il CAV (Centro Aiuto Vita) e con l’ALER (Istituto
Case Popolari).
In parrocchia gestiamo un “guardaroba”, rifornito dagli indumenti
offerti dai parrocchiani; ad esso si rivolgono persone bisognose
italiane e straniere.
Sosteniamo, con un’offerta, l’opera di alcuni volontari che, per
Natale, portano a domicilio di persone da noi segnalate, un pranzo
caldo che, ovviamente, è assai gradito.
Guardando al futuro della San Vincenzo speriamo di poter contare
su forze nuove che ci siano di aiuto e che arricchiscano e continuino
la nostra opera.
ENTRATE |
|
|
Collette
e contributi confratelli |
|
4.202,24
|
Quote
associative confratelli |
|
1.065,00
|
Questue
alle porte della Chiesa |
|
15.133,70
|
Fondazioni |
|
4.360,00
|
Contributi
da Consiglio Centrale San Vincenzo |
|
2.235,00
|
Ricavi
fiera natalizia |
|
13.977,50
|
Interessi
bancari |
|
459,87
|
Lasciti
ed eredità |
|
21.346,00
|
TOTALE |
|
62.779,31
|
|
|
|
USCITE |
|
|
Assistenza
diretta |
34.887,48
|
|
Quote
associative confratelli |
1.065,00
|
|
Contributi
al Consiglio Centrale San Vincenzo |
2.235,00
|
|
Iniziative
assistenziali diverse |
1.460,00
|
|
Spese
amministrative |
1.260,44
|
|
Contributi
settore solidarietà e gemellaggi |
655,00
|
|
Aiuti
al terzo mondo |
500,00
|
|
TOTALE |
45.062,92
|
|
|
|
|
AVANZO
DI GESTIONE |
|
20.716,39
|
|
|
|
|
|
|
ATTIVITÀ
BANCO ALIMENTARE 2011
gestito dalla Conferenza di San Vincenzo de Paoli “Beata Vergine
di Pompei”
Alimenti
forniti dal Banco Alimentare |
kg |
8.867 |
|
Alimenti
acquistati dalla San Vincenzo |
kg |
450 |
1.462,00
€ |
Alimenti
acquistati dalla parrocchia
|
kg |
60 |
220,00€ |
|
kg |
9.377 |
|
Ne
fruiscono :
- 250 persone di “passaggio”
- 75 famiglie “fisse” (pari a 3.096 persone) di cui 42 italiane
e 33 straniere. l
|
Nella
Comunità parrocchiale:
|
hanno
ricevuto il battesimo
BELIDE
FRANZOSO
MYRIAM SCORDARI
DANIELE FASIANI
si sono uniti in matrimonio
MANUELA MARTI E MARCO PANZERA
SILVIA MAZZUCCHELLI E WILLIAM PIZZULLI
abbiamo
affidato ai cieli nuovi e alla terra nuova
GIOVANNA
PERTICI (a. 86)
GUIDO DOMINIONI (a. 63)
FERRUCCIO MIRAGLIA (a. 98)
CINO LUZI (a. 89)
MARIO ALIPRANDI (a. 81)
PIERINA PONTIGGIA (a. 91)
MARIA NICOLA GRIECO (a. 88)
MIRELLA PARIGI (a. 85)
AMELIA COZZAROLO (a. 95)
PALMINO TOMIROTTI (a. 85)
LAURA ONETO (a. 80)
CARLA MARAZZI (a. 88)
RICCARDO ROSSI (a. 72)
BENIAMINO ZAGARI (a. 83)
MARIA BELLONI (a. 95)
ANGELA MARCHESI (a. 88)
|
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