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notiziario
mensile parrocchiale
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GRATITUDINE
NELLA VITA
Noi ti lodiamo, o Padre,
sorgente di ogni bene e di ogni gioia,
per il dono della vita e del Vangelo,
per la Pasqua del Cristo tuo Figlio
e per la luce del tuo Spirito in noi.
Quando ascoltiamo la Parola di Gesù
e la viviamo in famiglia e nel mondo,
quando siamo riuniti nel suo Nome
e lo veneriamo nel volto del debole
allora riconosciamo stupiti
che l’amore di Dio è in mezzo a noi,
sentiamo ardere il fuoco della missione
e l’appello del Signore risorto:
“Voi siete per me pietre vive
e santi per vocazione:
mi sarete testimoni
fino ai confini della terra!”.
Benedici
la nostra Diocesi col suo Vescovo,
le comunità cristiane e i loro pastori,
tutti gli uomini e le donne che ami
figli tuoi in questa santa terra ambrosiana.
E tu Maria, vergine e madre,
voi padri Ambrogio e Carlo,
santi e beati della nostra Chiesa
intercedete per noi
perché presto venga il Regno di Dio
e sia per tutti pienezza di gioia e pace.
Amen. Vieni Signore Gesù!
Dionigi
Card. Tettamanzi
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GRAZIE
DIONIGI ... BENVENUTO ANGELOI
Due
i sentimenti che mi accompagnano in questo settembre: vorrei contagiare
ognuno di voi che legge queste righe perché abbia nel cuore e
sulle labbra due parole: grazie e benvenuto.
Il grazie è anzitutto rivolto al cardinale Dionigi Tettamanzi
che dopo nove anni come nostro Arcivescovo lascia il suo compito.
L’anagrafe ha le sue dure esigenze.
Di Lui vorrei ricordare un gesto e una parola. Il gesto è quello
di stringere le mani. In questo anni lo ha fatto innumerevoli
volte avvicinando ogni persona con spontanea e calda umanità.
Iniziando i suoi discorsi il cardinale Tettamanzi si è rivolto
“a tutti e a ciascuno” come a sottolineare il valore di ogni persona
affidata alle sue cure di Pastore. Attraverso il suo sguardo mite
e paterno ci ha mostrato in questi pochi anni il volto di una
chiesa curva sulle sofferenze dei suoi figli. E con forza ha ripetutamente
affermato: «I diritti dei deboli non sono diritti deboli». Ma
non si è limitato a proclamare dall’alto del pulpito del Duomo
questo impegnativo principio. Lo ha attuato sia con iniziative
coraggiose di presenza accanto ai più deboli, sia con il Fondo
di solidarietà per le famiglie in difficoltà per la crisi economica.
E mentre qualche amministratore comunale enumerava, come un vanto,
le centinaia di sgomberi dei campi nomadi alla periferia della
città, nel dicembre del 2010 il Cardinale si recava proprio nel
campo rom di via Triboniano per non far mancare proprio agli “ultimi”
il suo sostegno.
Se
in questi anni la nostra città non ha del tutto ceduto ai richiami
ostili all’accoglienza dei terzomondiali, dei rom, degli islamici,
lo dobbiamo soprattutto al Cardinale che non a caso è stato soprannominato
l’Imam di Milano. Chi lo ha così denominato voleva ovviamente
offenderlo, in realtà questo titolo attesta una apertura a quel
mondo musulmano che non possiamo emarginare ma che dobbiamo saggiamente
integrare. Quando nove anni fa il cardinale Tettamanzi arrivò
da Genova a Milano come arcivescovo taluni dissero che la diocesi
aveva il suo parroco brianzolo. Di nuovo una formula di non tanto
sottile disprezzo. Ricordo un nostro parrocchiano che in occasione
della benedizione natalizia della casa a fatica accettò il libriccino
scritto dal cardinale Tettamanzi che portavo in dono. Mi disse
che Tettamanzi non era all’altezza per guidare una diocesi come
la nostra. Questi nove anni hanno dimostrato proprio il contrario.
Ha scritto di Lui il nostro parrocchiano Gad Lerner: «Giù il cappello
di fronte a chi, in nome di ciò in cui crede, è pronto a sfidare
le ostilità. Il cardinale Tettamanzi ha pagato queste sue convinzioni
con coraggio, sopportando anche epiteti insultanti e certo per
lui dolorosi; ma in quel frangente ha mostrato una tempra e una
autorevolezza meritevoli di una memoria riconoscente. Anche in
futuro la sua figura crescerà nella nostra considerazione…».
La
seconda parola: ‘benvenuto’, è per il cardinale Angelo Scola,
nostro nuovo arcivescovo. Anche lui è brianzolo, di Lecco, ma
certo non si dirà che è un parroco brianzolo. Alle spalle ha importanti
esperienze di studio alla Cattolica di Milano e all’Università
di Friburgo in Svizzera, e di insegnamento a Roma. Vescovo a Grosseto
e patriarca a Venezia.
Per alcuni anni ho avuto la felice occasione di lavorare con Lui
nella redazione della rivista di teologia ‘Communio’. Ci si trovava
mensilmente in via Saffi per preparare i quaderni della Rivista
e così è nata tra noi una cordiale amicizia. Nella formazione
di Angelo Scola ha avuto un ruolo decisivo don Luigi Giussani
e il movimento di Comunione e Liberazione. Avremo allora un arcivescovo
‘ciellino’? Per taluni questa qualificazione rappresenterebbe
un handicap dal momento che i ‘ciellini’ sarebbero un corpo a
parte dentro la realtà della diocesi. Altri addirittura pensano
che la nomina di un arcivescovo ciellino sia una replica all’elezione
del sindaco Pisapia. Per dirla grossolanamente: sindaco di sinistra
e arcivescovo di destra…
Credo si tratti solo di pregiudizi e confido nell’intelligenza
di Angelo Scola e nella capacità della nostra chiesa milanese
di ‘educare’ i suoi pastori. Fu il cardinale Martini a scrivere
di ritenersi un vescovo educato dal suo popolo. E nella vicenda
del cardinale Tettamanzi davvero i problemi, le difficoltà, le
attese del popolo hanno plasmato in modo significativo le scelte
dell’arcivescovo. Sono certo che il vescovo Angelo saprà ascoltare
la sua gente, noi che lo accogliamo con gratitudine e gioia. Ma
parole di gratitudine e di benvenuto sono anche, in questo settembre,
per quei laici che hanno fin qui lavorato nel Consiglio pastorale
parrocchiale e nel Consiglio per gli affari economici della parrocchia.
Il loro mandato viene a scadenza e domenica 16 ottobre la nostra
comunità sarà chiamata a rinnovare questi organismi di partecipazione.
Trovate nelle pagine che seguono le indicazioni pratiche per questo
rinnovo. Qui voglio, ancora una volta, dare voce alla gratitudine
per i membri del Consiglio Pastorale Parrochiale: Begni don Giorgio,
Bellavite Crosti Matilde, Bratina Giorgio, Ciccolo Fabris Franca,
Colombo Capo Silvia, Cottarelli Francesco, Croce Nadia, Croci
don Paolo, Cuoccio Anna Maria, Di Renzo Francesca, Eccher Tommaso,
Hotimsky Frances, Lotta Sebis Liliana, Moresco Fornasier Mariella,
Motta Lombardo Marica, Palazzetti Vitiello Eugenia, Pellizzi Ballardini
Paola, Pontiggia Andrea, Sala Carlo, Schiavone Nigris Manuela,
Tenca Cesarina, Tentori Zerboni Romilda, Vicinanza Roberto, Vitali
don Alberto, Volontè Rino, Zanda Federico e Zanda Tomaso. E ricordiamo
Tommaso Tranfa, deceduto nel 2008 ed Eugenio Brasca deceduto lo
scorso anno. Grazie anche ai membri del Consiglio per gli Affari
Economici: Barbieri Giuseppe, Beltrami Zanaboni Anna, Croci don
Paolo, Mariggiò Alfredo, Peverelli Luigi, Rossari Augusto, Sgaramella
Giuseppe, Temporin Mauro, Volontè Rino. Hanno lavorato con intelligenza
e amore per questa nostra comunità.
E infine chiedo che altri si offrano come possibili candidati
per il nuovo Consiglio pastorale parrocchiale. Si tratta di mettere
a disposizione una sera ogni mese per leggere insieme la realtà
del nostro quartiere e, alla luce dell’Evangelo, trovare le strade
per camminare insieme come discepoli dell’unico Signore.
don
Giuseppe
Il
card. Angelo Scola farà il suo ingresso ufficiale in Diocesi domenica
25 settembre, con tappa a S. Eustorgio alle ore 16 e l’ingresso
in Duomo alle ore 17.
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CERCARE
... INCONTRARE
omelia
sul Vangelo di Lc 9, 7-11 proposta da don Giuseppe
al termine del pellegrinaggio a Santiago de Compostela
a Bilbao il 4 settembre 2011
L’evangelo di questa domenica è, come vedremo, felice conclusione
del nostro cammino a Santiago ma è parola istruttiva per chiunque
voglia essere discepolo del Signore, cercatore del suo volto.
Al centro Erode il tetrarca incuriosito dalla figura di Gesù.
Ritroviamo in questo testo le diverse opinioni che circolavano
a proposito di Gesù, come nei testi di Mc 8,27ss. e Mt 16,13ss.
I contemporanei di Gesù, la gente, ha particolare stima nei confronti
di questo giovane predicatore proveniente da Nazaret. Infatti
in tutti e tre i testi Gesù viene assimilato alle grandi figure
religiose del passato, a cominciare da Giovanni Battista. L’eco
delle sue parole infuocate e la sua morte drammatica per mano
proprio di Erode, doveva esser assai viva tra la gente.
Gesù
un nuovo Giovanni Battista, un nuovo Elia, un nuovo profeta. Gesù
nella serie dei grandi personaggi della storia di Israele. Sappiamo,
dai due testi sopra citati di Marco e Matteo, che questa assimilazione
di Gesù ai grandi del passato non coglie la sua vera natura, la
sua identità. Gesù non è UNO dei grandi della storia, Gesù è IL
Messia. Non è UNA delle molte parole che Dio ha voluto comunicare
agli uomini (Eb 1,1-2), è LA Parola. Potremmo dire che proprio
nel cambio di articolo (uno\il; una\la) sta la singolarità di
Gesù. Proprio per questo Gesù ha chiesto ai suoi discepoli e chiede
oggi ad ognuno di noi tutt’intera la dedizione della vita alla
sua Persona e all’evangelo (Mc 8,35): una vita “perduta” per Lui
e per l’Evangelo non è affatto una vita perduta. Anzi.
Nel
testo odierno vi è un piccolo dettaglio, prezioso. Si dice appunto
che Erode “cercava di vedere Gesù”. Perché questo desiderio? Sempre
Luca riferisce che quando Gesù viene condotto per ordine di Pilato
davanti ad Erode, nel corso del processo, il tetrarca ne è molto
contento perché ha sentito parlare molto di lui e spera di poter
assistere a qualche miracolo. La curiosità, l’attesa di un gesto
mirabolante, è all’origine di questo “cercava di vedere Gesù”.
Sappiamo che questo incontro tra Gesù ed Erode si risolve nel
silenzio assoluto di Gesù che non risponde alle molte domande
di Erode. Si può, allora, cercare di vedere Gesù senza riuscire
a incontrarlo davvero.
Ancora
Luca ci dice che un altro uomo, davvero poco raccomandabile, cercava
di vedere Gesù. Si tratta di Zaccheo, capo dei pubblicani cioè
degli esattori delle tasse, un uomo che aveva accumulato una grande
ricchezza frutto di abuso e sopraffazione nella raccolta delle
tasse. Eppure quest’uomo arriva ad incontrare Gesù, anzi è Gesù
stesso che lo scopre nascosto tra il fogliame del sicomoro e lo
obbliga a scendere e aprirgli la porta della sua casa. Due uomini
che cercano di vedere Gesù: al primo, Erode, Gesù si nega; al
secondo, Zaccheo, Gesù si dà con larghezza di cuore. C’è, allora,
una ricerca di Gesù, mossa da motivi futili e superficiali come
nel caso di Erode, ricerca che non approda a nulla, che non genera
un vero incontro. E c’è una ricerca mossa dal tarlo dell’inquietudine,
della consapevolezza della propria indegnità, mossa dal desiderio
di cambiare vita: e Gesù si lascia trovare, anzi si dona a chi
lo cerca con cuore sincero. Ci sono altri casi di ricerca di Gesù
che approdano all’incontro e altri invece che falliscono. Così
quando la folla che si è abbondantemente nutrita del pane moltiplicato
da Gesù, lo cerca per farlo re e così assicurarsi questa risorsa
alimentare a buon mercato, Gesù si sottrae a questa ricerca e
fugge. Non vuole esser cercato solo perché operatore di prodigi.
E invece vi sono ricerche autentiche che approdano ad un incontro.
Così i due discepoli di Giovanni il Battista. Seguendo l’indicazione
del loro maestro i due vanno dietro a Gesù che domanda loro: “Che
cercate?”. Sappiamo che questa ricerca diviene un incontro, uno
stare con Gesù nella sua casa. E i due, Andrea e Giovanni, non
lasceranno più il Signore. Una ricerca che cambia la vita, per
sempre.
E
infine, il mattino del primo giorno dopo il sabato, mattino della
Risurrezione, Maria di Magdala che in lacrime cerca il cadavere
di Gesù si sente rivolgere la domanda: “Donna chi cerchi?”. Ancora
una ricerca mossa dal grande amore per la persona di Gesù e dal
disperato dolore per la sua morte. E questa ricerca si conclude
addirittura in un abbraccio in un dolce e forte tentativo di trattenere
a sé Gesù che appunto deve dire: “Non mi trattenere…”. Leggiamo
questo evangelo al termine del nostro cammino in terra Basca,
dopo esser stati pellegrini in cerca di bellezza a Bilbao, Loyola,
Burgos, Leon e Santiago de Compostella. Abbiamo ripercorso, sia
pure per un brevissimo tratto, il cammino di milioni di uomini
e donne che da secoli hanno cercato a Compostella, nel campo della
stella che indicò il luogo della sepoltura dell’Apostolo Giacomo,
la traccia dell’apostolo che ha seguito il Signore fino al martirio.
Possa questo cammino fare di noi e della nostra comunità inquieti
cercatori del volto del Signore.
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PELLEGRINI
A SANTIAGO DE COMPOSTELA
Sono le quattro del mattino, è buio e ho sonno; chiusa la valigia
e preso lo zaino, scendo in strada e salgo sul taxi per piazza
Bernini. L’ora mattutina consente una temperatura gradevole. Ecco
le prime persone: le conosco, mi riconoscono e ci si saluta col
piacere di rincontrarsi, compagni di un nuovo viaggio. A Linate
il gruppo si completa: settanta persone, non poche davvero. Destinazione
Bilbao, via Madrid.
A Madrid ci accoglie un aeroporto moderno, dove un’architettura
sapiente ha messo insieme dei pilastri colorati quasi fossero
degli steli che sorreggono delle ampie corolle fatte di strisce
di legno a formare il soffitto: è un piacere guardare il rincorrersi
delle linee e dei colori. In meno di un’ora di volo, arriviamo
a Bilbao, capitale dei paesi Baschi. Una bianca struttura dalle
linee flessuose e funzionali quasi a formare la tesa di un cappello
accoglie i viaggiatori: è il benvenuto dell’architetto Calatrava.
Qui ogni scritta è in spagnolo e in basco e a scuola da vent’anni
circa si insegnano le due lingue.
Riccarda, la guida, e Andrea il suo aiutante, ci invitano salire
sui pullman. Sorpresa: al volante due giovani donne, Veronica
ed Estrella, le nostre autiste. La grande professionalità e la
disponibilità di queste due signore fanno presto passare i timori
che alcuni partecipanti avevano manifestato dicendo: “attenzione,
perché siamo nelle vostre mani…”.
Lasciati i bagagli in albergo, giriamo per mangiare qualcosa:
tapas, tortilla e churros soddisfano ampiamente i nostri desideri.
Al pomeriggio guide competenti e appassionate del loro paese,
ci raccontano la storia di questa città. A Getxo, comune situato
nella sponda destra dell'estuario di Bilbao, vediamo le residenze
signorili ispirate alle dimore inglesi costruite dall'alta borghesia
durante la industrializzazione, mentre gli operai vivevano nel
centro della città sporca e molto inquinata. Lì stavano sia il
porto che i cantieri navali che le industrie pesanti. Per poter
attraversare l’estuario del fiume Ibizabal, lasciando libero l’accesso
alle navi, nel 1893 l’architetto Alberto de Palacio aveva fatto
costruire il ponte Vicaya (dichiarato patrimonio dell’umanità
dall’Unesco): il trasporto di auto e persone avviene mediante
una navicella che si sposta lungo il ponteggio.
Dopo cena, il Console italiano Giorgio Baravalle e il dott. Santi,
industriale italiano che gestisce in loco un’impresa di lavorazione
del tonno, ci hanno illustrato come grazie all’indipendenza dal
Governo Centrale, ad una tassazione alta sulle persone fisiche
ma non sulle imprese, all’impiego totale nella città dei contributi
riscossi, sia stato possibile avviare una rifondazione della città:
i cantieri navali e il porto sono stati spostati all’esterno,
gli edifici da conservare quali le università e i caseggiati lungo
il fiume sono stati ripuliti e ripristinati, nuove opere architettoniche
e nuovi sistemi di trasporto sono stati attuati. Poiché i servizi,
scolastico e sanitario compresi, sono efficienti ed efficaci i
cittadini baschi non evadono le tasse. Questo incontro e la bellezza
del museo Guggenheim di Gehry, del ponte di Calatrava, della metropolitana
di Foster pulita e dotata di ogni sostegno a chi può averne bisogno,
ci ha fatto desiderare di vivere lì o almeno sperare che il nostro
paese possa avviarsi verso quella direzione!
Il mattino successivo lasciamo Bilbao alla volta di Burgos, via
Loyola. La strada si snoda tra monti con boschi ben curati; il
cielo è nuvoloso. Dopo un’ora circa arriviamo ad Azpetia e visitiamo
la casa-torre dove Ignazio è nato e vissuto. All’età di 15 anni
va alla corte del re Ferdinando il Cattolico e riceve un’educazione
cavalleresca. Gravemente ferito alle gambe a Pamplona torna a
Loyola. Durante la convalescenza, legge la Vita di Cristo e le
vite di santi, unici libri disponibili. Attraverso queste letture
matura la decisione di “consegnarsi a Dio senza condizioni” e
decide di mettersi al servizio di Cristo con una fedeltà cavalleresca
maggiore di quella prestata ai signori della terra e fonda la
Compagnia di Gesù. La stanza dove Ignazio è stato convalescente
e si è convertito, è ora una cappella: lì i nostri sacerdoti hanno
celebrato la messa. Il brano del Vangelo chiede un impegno totale
a chi vuol diventare discepolo di Cristo, fino “ad odiare se stesso”:
impegnativo e ben correlato al percorso di Ignazio. Ciascuno di
noi si è interrogato sul proprio percorso e sulle scelte fatte
e da fare. Dopo il pranzo, attraversando colline più o meno verdi
con molte pale eoliche a definirne il profilo, abbiamo raggiunto
Burgos, città delle imprese del Cid Campeador. Attraverso l’Arco
di Santa Maria, costruito per accogliere Carlo V, si raggiunge
l’imponente Cattedrale gotica, la Chiesa di S Nicola e il centro
della città. Stupore: in questa cattedrale non si vede dall’ingresso
l’Altar Maggiore. Un imponente coro ha imposto per secoli ai credenti
di sentir messa: la celebrazione era “un affare riservato al clero”!
Ricchi ed elaborati retabli, scolpiti su legno, dipinti e decorati
con oro, narrano le sacre scritture: era questo il modo per educare
il popolo che non sapeva leggere. Coro e retabli saranno presenti
in tutte le cattedrali gotiche visitate; altra particolarità più
volte incontrata sono state le statue delle “madonne imbarassade”.
Noi ricordiamo la sola e magnifica “madonna del parto” di Piero
della Francesca.
All’esterno delle mura il Paseo: un percorso sotto due filari
di grossi platani fatti crescere e potati in modo da creare un
portico di rami e foglie. Simpatiche sculture in metallo di dimensioni
normali e appoggiate sul terreno, accolgono e accompagnano i visitatori:
la vecchietta che cuoce le castagne, due passanti sotto un ombrello
che gocciola, il vigile a cui chiedere indicazioni… La sera ci
si ritrova per conoscere i nuovi arrivati: tra i parrocchiani
c’è una nobile gara tra chi è in parrocchia da più anni: simpatica
l’affermazione del parroco che afferma di essere il parrocchiano
più giovane. Tra i nuovi partecipanti mi hanno colpito particolarmente
gli occhi di Maria Celeste, che sorridono molto prima dell’intera
faccia e penso che anche a ciò si debbano le sue speciali torte…
e la sensazione di star bene in questo gruppo, da me provata la
notte della partenza, è confermata da molti presenti. Si prosegue
per Leòn, via Sahagun, importante centro benedettino, dove prosperò
una comunità giudaica fino all’espulsione degli ebrei nel 1942.
Dopo la cena a Leòn, un gruppo di partecipanti si è avviato al
centro (mentre altri davano vita a un torneo di burraco!): venti
minuti di passeggiata premiati da un’incantevole visione. In tutta
la purezza delle sue forme, splendente di luci si è parata dinanzi
a noi la Cattedrale, detta la “pulchra leonina” dall’allora Card.
Roncalli, che la descrisse così: più vetro che pietra, più luce
che vetro, più fede che luce. Una breve e signorile via porta
dalla piazza alla casa-castello di Gaudì. Notevole il Panteon
nella basilica di S. Isidoro, tutto decorato a tempera. E ci si
rimette in viaggio, perché finalmente nel tardo pomeriggio si
arriva a Santiago de Compostela, mèta del nostro pellegrinaggio.
Dal
monte Gozo (della Gioia), località da cui i pellegrini vedevano
Santiago, un numeroso gruppo di partecipanti decide di percorrere
a piedi l’ultimo tratto di strada. Non è facile riflettere sul
significato di questa scelta perché le distrazioni dovute al trovarsi
nella periferia di una città (automobili, semafori, rumori, insegne...)
disturbano la concentrazione. Ma il continuo richiamo del parroco
al silenzio, la ricerca sul marciapiede delle conchiglie indicanti
il percorso e la volontà di ciascuno di ritrovare se stesso anche
nelle persone care, vive e morte, che fanno la sua storia, ci
ha portato, attraverso un portico laterale e il suono delle cornamuse,
di fronte alla Cattedrale illuminata dalla luce del tramonto.
Pellegrini di un breve tratto, ma come tanti altri per nome e
conto di tante persone; non per riscuotere al ritorno il giusto
compenso presentando la conchiglia, ma per portare con noi e in
noi le richieste, gli affetti, i bisogni di chi ci è vicino. Gruppi
di giovani e meno giovani stavano seduti sul piazzale chiacchierando,
suonando e ristorandosi, gruppi di biciclette messe in cerchio
a terra e tenute a bada da un paio di proprietari mentre gli altri
in Basilica facevano la coda per abbracciare il busto dorato di
S. Giacomo e venerarne le spoglie, suonatori di cornamuse e di
chitarre popolavano piazza e spazi circostanti. Alle dodici del
giorno dopo la messa del pellegrino in Cattedrale: tante diverse
etnie coi loro sacerdoti per cui ti trovavi a fianco giovanotti
e ragazze o signori e signore di diversa nazionalità e diverso
colore di pelle, coi loro zaini e scarponi: tutti insieme a far
popolo di Dio. Un gruppo ha scelto di andare dopo la messa “ai
confini della terra”: un bel sole, la nebbia calata improvvisa
e per breve tempo sul faro, ha loro consentito di porsi di fronte
all’oceano e di rivivere l’impressione e le sensazioni dei pellegrini
che lì andavano a lasciare e bruciare i loro logori indumenti,
per tornare rinnovati alla vita che li aspettava. La sera riflessione
dei nostri sacerdoti nella cappella della Madonna del Pilar: hanno
letto e commentato i passi del nuovo testamento riguardanti l’apostolo
Giacomo. Note non così “brillanti” circa il suo agire, ma comportamenti
dettati da fede cieca e generosità: poi il martirio di spada ha
sicuramente riscattato i suoi limiti. Con queste riflessioni a
S. Giacomo è stato tolto il cliché di matamoros, continuamente
ripetuto dalle guide locali. Un sabato di pullman, con visita
alla cattedrale di Oviedo e un ottimo pranzo galieco, con una
piacevole sosta a Santander, ci ha riportato a Bilbao.
Il
mattino dopo, messa nella cappella attigua all’albergo e visita
del museo Guggenheim, sede di esposizioni permanenti e temporanee
di arte contemporanea, non sempre facile da fruire e gradire,
ma comunque affascinante. Affettuosi auguri ai due infortunati…
(per fortuna senza gravi conseguenze). Nel saluto frettoloso a
Linate per l’ora tarda, la speranza di ritrovarci insieme il prossimo
anno per un’altra avventura; ai don un grazie di cuore e al parroco
il compito di pensare fin da ora al prossimo pellegrinaggio.
Anna
Maria Bassetto
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SO-STARE
NELLE RELAZIONI
Il
Come è ormai buona tradizione, operatori e volontari della Tenda,
hanno concluso il percorso formativo lo scorso 28 giugno 2011
con un incontro biblico coinvolgendo don Giuseppe e don Angelo.
A don Giuseppe abbiamo chiesto, a partire da una pagina del vangelo,
di parlarci della relazione con le persone più fragili. Nel nostro
servizio quotidiano, sia come operatori sia come volontari, la
relazione è ciò che più ci coinvolge e ci impegna.
Penso che la pagina del vangelo di Marco al capitolo cinque
- Gesù guarisce l'emoroissa - possa suggerire diverse riflessioni
a tutti noi a conclusione del percorso formativo di questo anno
sociale. Anzitutto colpisce la folla che non solo circonda Gesù,
ma che anche si accalca attorno a lui. Se tante persone ti stringono,
ti schiacciano con la loro presenza come puoi pensare a incontri
e a relazioni individuali? Da tutta quella folla che si accalca
riceviamo una sensazione di contatti che non rappresentano un
desiderio di incontro, delle relazioni, dove non c'è tempo e spazio
per poter guardare negli occhi le singole persone. In tutto questo
trambusto e assenza di contatti c'è però una donna che anche solo
sfiorando la veste di Gesù viene subito da Lui riconosciuta perché
lei, sì, esprime un desiderio di incontro autentico.
Avviene un contatto diverso perché nasce dal desiderio di un incontro
personale, si basa su un “affidarsi”. E Gesù riconosce questa
diversità. «Chi mi ha toccato?». Domanda che fa stupire i discepoli,
ma che invece va al cuore dell'incontro. Questa differenza di
incontri ci aiuta dunque a fare delle distinzioni: esistono contatti
di massa che non producono nulla, e forse solo irritazione, esistono
altri contatti, come quello dell'emoroissa, che nascono invece
da un desiderio di incontro. Tutto questo ci insegna che è importante,
come operatori e volontari, cercare e costruire rapporti non solo
quantitativi, ma anche relazioni individuali significative: sono
questi incontri che producono qualcosa, che producono un cambiamento
in noi e negli altri.
Spesso come volontari e operatori siamo coinvolti in tante cose
e in molteplici relazioni: è importante custodire la qualità del
rapporto con le singole persone, costruire relazioni dove ci si
guarda con fiducia, cercare contatti dove c'è un desiderio di
avvicinarsi al singolo, ai suoi bisogni e desideri. In una società
come la nostra, con una vita quotidiana frenetica nei rapporti,
in un servizio dove ormai i contatti iniziano ad essere centinaia,
è importante riprendere la dimensione personale della relazione,
l'attenzione al singolo, la dimensione dell'affidarsi all'altro.
Una pagina dunque, questa del vangelo, che ci parla anche della
fede: essa è anzitutto un affidarsi alla persona; nella misura
in cui possiamo e sappiamo vivere esperienze di fiducia e di affidamento
tra di noi, possiamo fare esperienza di affidarci a Dio. Il contatto
furtivo con la frangia del mantello di Gesù, il desiderio di incontro,
si è trasformato, in un incontro che le dà la “pace”. Gesù le
dice: «Figlia, la tua fede ti ha salvata. Va’ in pace e sii guarita
dal tuo male». Le parole del Signore interpretano il gesto della
donna: è stata la sua fede che l'ha liberata e le ha restituito
la salute e la dignità. Alla fine, Gesù le chiede solo una cosa:
«Va’ in pace», cioè con la sicurezza di possedere la vita come
dono di Dio e la certezza di realizzarsi in libertà. La pace,
nel linguaggio biblico, è espressione di tutti i beni che l'uomo
può raggiungere. Gesù ha introdotto questa donna nella pace, in
una situazione di salute, di felicità e di autonomia personale,
di libertà e di dignità. Le ha restituito la vita fisica e spirituale.
A
don Angelo, abbiamo chiesto di parlarci, sempre partire dal vangelo,
della relazione genitori-figli: è questa un’altra dimensione relazionale
che viviamo ogni giorno nelle nostre case.
Ho pensato che ciò che passa tra genitori e figli Gesù lo ha raccontato
anche in una parabola che noi tutti conosciamo e che vorrei semplicemente
sfiorare, la parabola del padre prodigo di amore e dei suoi due
figli. Storia di una famiglia, di una casa, delle cose che succedono
nelle famiglie e nelle case. E Gesù parla di rapporti tra genitori
e figli, parla dell’aria delle case, dell’aria malata e dell’aria
sana delle case. Una cosa stupisce a prima vista. Voi tutti sapete
che bellezza di padre fosse quell’uomo. E non li aveva educati
lui quei figli? Non aveva dato loro un esempio, non avevano respirato
aria buona nella casa? Quando c’è aria malata nelle case? Quando
interessano solo le cose. Quando l’altro lo vivi come un padrone.
«Dammi la parte di eredità che mi spetta!», dice il figlio minore.
I beni, le cose su tutto! Lo pensava padre padrone, tra le righe
ne senti l’accusa. Strano! Il padre non dice una parola che è
una. Divise il patrimonio, non chiuse la porta.
Questo pensa Dio, non so se lo pensiamo anche noi: che va rispettata
la libertà, invalicabile il valore della libertà. Ma, dentro,
a quel padre si spaccava il cuore. Riduzione dell’orizzonte della
vita, paurosa riduzione, paurosa riduzione dei rapporti: se ne
va, come se la casa non contasse, come se le persone non contassero,
come se la relazione non contasse. Aveva avuto i soldi. Contano
i soldi. E non è questa la vera disgrazia per una casa, la casa
albergo, la casa ridotta a servizi, l’impoverimento dei rapporti?
Anche quando decide di tornare il figlio minore pensa a un rapporto
basato sul calcolo: tornerà come servo, il padre lo tratterà,
pensa, come un servo. E invece ci saranno gesti e parole che sveleranno
chi è quel padre: uno che saliva a scrutare se mai tornasse, uno
che lo vede da lontano, uno che lo abbraccia e lo bacia, gli dà
veste e anello simbolo di dignità e di responsabilità, gli organizza
una grande festa. L’abbraccio, il bacio, la vibrazione dei sentimenti,
sentirsi in una casa e non semplicemente in un’azienda. Ha trovato
nel padre non il calcolo ma l’eccesso dell’amore, che non si piega
nella logica del “io ti do se tu mi dai”, nella logica del mercanteggiare
che fa l’aria malata delle case.
Ma
se osservate le cose in profondità, dovrete concludere che anche
il figlio maggiore aveva un rapporto malato. Parlava come uno
dell’azienda: “Io ho fatto tanto, avrei diritto a tanto: Questi
no, non ha fatto niente, non avrebbe diritto a niente”. L’immagine
sottesa è ancora quella del padre padrone. Il padre, commovente
quel padre, cerca di smuoverlo. E non è detto nella parabola se
sia riuscito a convincerlo della bellezza di quel banchetto, dove
splendeva la gratuità. Non sappiamo. Perché rimane invalicabile
la soglia della libertà dell’animo umano. Puoi anche, se così
decidi, rimanere fuori dalla festa, da una relazione di fraternità.
E non sai che cosa perdi! Non sai che cosa significhi questa parola
bellissima, la “gratuità”. L’eccesso del padre fa l’aria sana
della casa. Dunque la parabola ci insegna che non mancano nella
vita, anche nelle case dove non ce lo aspetteremmo, le difficoltà
nelle relazioni. Che a generare l’aria malata è l’appiattimento
sulle cose, è il vedere l’altro semplicemente come uno strumento
per il tuo bene. Che l’aria buona delle case viene dal dare senza
calcolare, in eccesso. Come ha dato il Signore.
Operatori
e volontari della Tenda
LEGGERE
GIOBBE
Giobbe
è indubbiamente il grande capolavoro della letteratura biblica.
Rompicapo dei filologi a motivo della sua lingua ardita e complessa,
Giobbe è sempre stato il breviario dei grandi spiriti dell’umanità:
in questo libro essi si sono specchiati, nelle pieghe delle sue
pagine si sono cullati, nelle sottili provocazioni che esso custodisce
hanno ritrovato il senso delle loro pene interiori. Che cosa è
il libro di Giobbe? Si tratta di un dramma; un dramma non una
tragedia. La tragedia è tipica del mondo greco. Basti pensare
a Edipo: il destino di quest’uomo è segnato da sempre; egli dovrà
uccidere suo padre, prendere in sposa sua madre ed essere l’origine
di un seguito spaventoso di disgrazie rovinose per la casa di
Laio. A nulla valgono i tentativi del padre per sopprimere il
neonato: il piccolo Edipo scamperà alla morte, sarà allevato da
Polibo, ucciderà il padre Laio e sposerà la madre Giocasta. In
tutto ciò la necessità regna sovrana e la libertà non può nulla:
la maledizione si compirà secondo quanto aveva preannunciato l’oracolo.
La Bibbia non conosce la tragedia, in essa la determinazione non
trova spazio: nella Bibbia v’è il dramma. Sull’uomo non pende,
come una spada di Damocle, un’immutabile necessità. Giobbe prova
sofferenze inaudite: i suoi figli muoiono uno dopo l’altro, i
suoi beni vanno in rovina, egli stesso si ammala, sedendo sulla
cenere con un coccio in mano; eppure Giobbe dialoga con Dio: urla,
impreca, giunge addirittura alla bestemmia ma non sta di fronte
al mistero come di fronte a un destino già scritto. Giobbe è un
dramma, il dramma dell’uomo, il dramma di ogni uomo di fronte
al mistero del male, della sofferenza, dell’ingiustizia. Giobbe
è lo specchio della storia di ogni uomo a confronto col mistero
di Dio: un Dio che pare vicinissimo ma è pure distante ed enigmatico.
Chi
è Dio? Questa è la grande domanda che suscita il libro, meglio,
è il grande tormento di Giobbe. Da una parte infatti il libro
scagiona Dio, imputando al Satana la responsabilità del male (cf.
Gb 1-2). Dall’altra il dramma dell’uomo Giobbe si pone proprio
a questo livello: davvero Dio è buono e affidabile? La vita, afferma
Giobbe a più riprese, sembra dimostrare che Dio non sia così:
la preghiera non ha risposta, la sofferenza dilaga senza confini,
Dio pare essere un cinico o addirittura un sadico. Detto in altre
parole: qual è la logica che presiede alle scelte di Dio? Forse
Dio agisce in modo arbitrario? È dunque inaffidabile, un nemico
crudele dell’uomo, paradossalmente soddisfatto e divertito delle
pene delle sue creature?
Ecco le grandi domande, le sfide ardite, le provocazioni di questo
libro. Esse scandalizzano, inquietano, lasciano senza pace. Gli
amici di Giobbe a fronte della veemenza delle sue parole si rifugiano
nei trattati di teologia appresi a scuola e, come pappagalli,
ripetono eterne verità disincarnate. Elifaz, il primo amico, espone
la tradizionale teoria della retribuzione: se fai il bene Dio
ti premia, se compi il male Dio ti castiga; tuttavia la tesi non
sta in piedi perché Giobbe dichiara la sua innocenza. Bildad,
il secondo amico, riprende il tema dell’equilibrio fra il male
morale e la sofferenza: invoca la testimonianza degli antichi
per sostenere l’assoluta giustizia di Dio manifestata dalla sorte
dei buoni e dei malvagi; ma, ribatte Giobbe, chi può conoscere
la giustizia di Dio? Infine Sofar, il terzo amico, accusa Giobbe
di esagerare coi suoi discorsi prolissi: la perfezione di Dio
sorpassa il cielo e la terra, a Giobbe non resta che convertirsi.
Inutile dire che gli amici sono tratteggiati con sottile ironia:
le loro parole sono compassate, misurate, politicamente corrette.
È la posizione dell’uomo religioso di ogni tempo, pio e devoto,
gentile e conciliante; in realtà questi uomini non conoscono Dio
se non per sentito dire e le loro parole, ripetizione psitachica
di discorsi appresi all’accademia, né convincono Giobbe né, tantomeno,
sono in grado di dire la verità di Dio. Il lettore, a fronte di
tanta scienza, è condotto a prendere la parte dei tre dottori,
distanziandosi da Giobbe, le cui parole sono un’accusa rivolta
direttamente a Dio senza mezzi termini. Tuttavia, allorché Dio
stesso prende la parola, la sorpresa è grande: «Dopo che il Signore
ebbe rivolto queste parole a Giobbe, disse a Elifaz di Teman:
“La mia ira si è accesa contro di te e contro i tuoi due amici,
perché non avete detto di me cose rette come il mio servo Giobbe”»
(42,7). Ecco il paradosso: colui che ha lottato con se stesso
e con Dio, passando nel crogiolo della sofferenza e giungendo
al limite dell’insulto, in realtà ha detto cose rette di Dio;
coloro che invece che hanno ripetuto discorsi altrui, difendendo
un dio mai incontrato e conosciuto, quintessenza di ragionamenti
scolastici, sono riprovati da Dio stesso.
L’ascolto
di Giobbe fa emergere un Dio imprevedibile, difficile e misterioso.
Contro ogni tentativo (e tentazione) di ridurre il mistero trascendente
a schemi umani precostituiti, il libro di Giobbe fa crescere una
differente e più profonda relazione con Dio. Dalla sua lettura
non si esce mai indenni, in quanto Giobbe obbliga a cambiare registro,
spazza via la patina della falsa religiosità, cancella ogni goffa
certezza di conoscere il mistero. Giobbe è un libro provocante,
non adatto per i conformisti: esso interpella, purifica, accusa,
inquieta, tormenta. Giobbe obbliga a prendere posizione e conduce
a interrogarsi sulla fede da uomini adulti, abbandonando per sempre
la banalità delle ricette preconfezionate.
Scrive Karl Barth nel suo celebre commento alla Lettera ai Romani:
«Quando l’uomo incontra realmente, esistenzialmente, definitivamente,
inequivocabilmente, inevitabilmente e senza scampo la domanda:
Chi sono io? allora ama Dio. Poiché il Tu che sta di fronte all’uomo,
che costringe l’uomo a distinguersi così da se stesso, è Dio;
e l’uomo costretto ad affrontare così se stesso, ha già dimostrato
il suo amore verso Dio. L’uomo può realmente conoscere gli strali
che si conficcano in lui, il veleno che il suo spirito deve sorbire,
i terrori che si schierano contro di lui (Gb 6,4). Egli
può realmente sapere che la sua vita è una milizia e che i suoi
giorni sono quelli di un operaio a giornata (Gb 7,1). Egli
può realmente gridare: “Sono forse io il mare o un mostro marino,
che tu ponga intorno a me una guardia?” (Gb 7,12). Egli
può realmente trovarsi di fronte ad Uno, al di sopra del quale
non conosce nessun arbitro che “possa posare la mano su entrambi”
(Gb 9,33). Egli può essere realmente l’uomo la cui via
è oscura e che Dio ha stretto in un cerchio (Gb 3,23) ed
egli è così realmente quell’uomo e appunto perciò è così certamente
Dio che lo stringe, che egli non può vedere, conoscere, volere,
prender sul serio e valorizzare null’altro, alcuna seconda realtà
accanto a questa, ma appunto a questa realtà egli deve necessariamente
non arrendersi, con rassegnazione, fatalismo o consolazione religiosa,
ma abbandonarsi esistenzialmente col sospiro ineffabile dello
Spirito: “Io so che il mio Redentore è vivente” (Gb 19,29)».
don
Matteo Crimella
SCUOLA
DELLA PAROLA
GIOBBE E L’ENIGMA DELLA SOFFERENZA
Tre incontri guidati da don Matteo Crimella,
dottore in Scienze Bibliche.
28 settembre ore 21.00
26 ottobre ore 21.00
30 novembre ore 21.00
gli incontri si terranno in luogo da definire
UN
NUOVO CONSIGLIO PASTORALE PARROCCHIALE
La
Chiesa è popolo di Dio in cui tutti i fedeli, in virtù del battesimo,
hanno la stessa uguaglianza nella dignità e nell’agire, partecipando
all’edificazione del Corpo di Cristo secondo la condizione e i
compiti di ciascuno. Esiste quindi una reale corresponsabilità
di tutti fedeli nella vita e nella missione della chiesa.
In ogni parrocchia il Consiglio pastorale parrocchiale (CPP) è
uno strumento per attuare questa corresponsabilità.
Sono due i compiti del CPP: anzitutto il CPP legge il proprio
tempo, i problemi che segnano la vita degli uomini e delle donne
che abitano questo territorio, senza chiudersi nello spazio importante,
anche se ristretto, del quartiere ma aprendosi alla città, al
nostro Paese, anzi al mondo intero.
I laici che in larghissima parte costituiscono il CPP, proprio
perché inseriti nelle realtà familiari, sociali, economiche, politiche
sono per loro specifica vocazione chiamati a svolgere questo esercizio
di lettura e comprensione del nostro tempo. In secondo luogo il
CPP è costituito da uomini e donne appassionate per il Vangelo
che tentano, insieme, di testimoniarlo attraverso lo stile e i
gesti della comunità parrocchiale. Il CPP “consiglia”, cioè indica,
quali passi la parrocchia può compiere per essere in questo quartiere
segno persuasivo del Vangelo di Gesù.
Il CPP si riunisce una volta al mese e dura in carica cinque anni.
Il CPP è formato dal parroco, dai sacerdoti al servizio della
parrocchia e da 20 laici scelti da tutti i parrocchiani.
Il parroco può chiamare a far parte del CPP altri 5 laici al fine
di assicurare una adeguata rappresentanza della intera parrocchia.
Domenica
16 ottobre tutti i parrocchiani che hanno compiuto 18 anni saranno
chiamati a eleggere 20 persone, scelte tra quanti offrono la loro
disponibilità per svolgere tale compito. Chiediamo, quindi, che
un buon numero di parrocchiani, di tutte le età, uomini e donne,
diano la loro disponibilità ad una eventuale elezione. Non possono
essere rieletti coloro che hanno già svolto questo servizio per
più di due mandati consecutivi. Fanno parte della nostra parrocchia
non poche persone provenienti da paesi stranieri: sarebbe bello
che qualcuno di loro si presentasse per questa elezione. Frequentano
la nostra parrocchia persone che non abitano nel territorio della
parrocchia stessa, ma che hanno scelto la nostra comunità come
loro “casa”: anche loro possono rendersi disponibili per l’eventuale
elezione.
Tempo utile per dare al parroco la propria disponibilità: 30
settembre.
Domenica
9 ottobre saranno resi noti i nomi di quanti sono disponibili
per essere eletti la successiva domenica.
Accanto
al CPP esiste anche il Consiglio per gli affari economici (CAE).
Suo compito è la cura per i beni della parrocchia, la loro gestione,
la decisione circa le spese ordinarie e straordinarie della parrocchia.
Annualmente il CAE predispone il bilancio della parrocchia e lo
presenta ai parrocchiani e all’Ufficio amministrativo della diocesi.
Il CAE è composto dal parroco, dal vicario parrocchiale e da cinque
laici, tre scelti dal parroco e due indicati dal CPP.
Per questo organismo non sono quindi necessarie elezioni da parte
di tutti i parrocchiani.
DOMENICA
2 OTTOBRE
FESTA DELL'ORATORIO
Programma:
ore
10.00: S. Messa
al termine si scende in oratorio per i giochi
ore 12.30: Pranzo per i bambini e i ragazzi
(iscrizioni in oratorio 5€ entro venerdì 30 settembre)
ore 14.00: grandi giochi insieme
ore 16.30: merenda e ... riviviamo l'estate: istantanee delle
vacanze insieme
DOMENICA
9 OTTOBRE
CASTAGNATA DELL'ORATORIO
alla
Bressanella di Lecco
AMICI
SUPER..ANTA
martedì 20 settembre
ore 15.30
Riprendiamo
i nostri incontri settimanali
con un saluto dopo la pausa estiva
e una merenda insieme.
Parleremo dei programmi per il nuovo anno
nella speranza di ritrovare i vecchi amici e conoscerne di nuovi.
Vi aspettiamo numerosi!!!
Angelo Anna Margherita
PRIMO
INCONTRO DEL
PERCORSO DI PREPARAZIONE AL MATRIMONIO
venerdì 30 settembre
ore 21.00
Per
informazioni e iscrizioni rivolgersi in Segreteria Parrocchiale
ricomincia
lo SPAZIO STUDIO
DAL LUNEDÌ AL GIOVEDÌ
DALLE ORE 15 ALLE 17
IN ORATORIO
Per
informazioni, iscrizioni e adesioni come volontario
rivolgersi a don Paolo o in Ufficio Parrocchiale
|
Nella
Comunità parrocchiale:
|
hanno
ricevuto il battesimo
LISA
SOPHIE GOUFFRAN
STELLA ANAIS GOUFFRAN
EDOARDO TURA
VINCENZO FEDERICO NEGLIA
MATILDE COSTANZA TURNER
NICOLA SAVARESE
abbiamo
affidato ai cieli nuovi e alla terra nuova
LAURA
DENDENA (a. 87)
CARLO SALVATORE QUARTARONE (a. 64)
GIUSEPPE GUASTAMACCHIA (a. 89)
LETTERIO LA SPINA (a. 69)
FLORA ITALIA (a. 90)
IDA MURÈ (a. 85)
ALESSANDRIO
COGLIATI (a. 83)
MARIO PANZERA (a. 72)
ALESSANDRO SAMAJA (a. 87)
LUCIANO ASTI (a. 81)
FRANCO ELIA FELICE GENOVA (a. 67)
ITALIA M. VITTORIA PILLITTERI (a. 92)
PIERANGELA MASSARO (a. 58)
ADRIANO PAZZI (a. 87)
CARMELA TESTA (a. 86)
GABRIELLA REGUZZONI (a. 90)
LUISA MASCHERPA (a. 76)
GABRIELLA PAXI (a. 79)
CARLA BELLONI (a. 80)
LUCIANA BELLINI (a. 87)
NERIO COFFA (a. 75)
GIUSEPPINA RAIMONDI-COMINESI (a. 80)
VITTORINO FELLEGARA (a. 83)
ROBERTO ROSA (a. 46)
DOMENICO BOSELLI
OTTAVIO PAGANI (a. 52)
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