È
MORTO UN PADRE DELLA CHIESA
La
notizia dell’aggravamento delle condizioni di salute del card.
Carlo Maria Martini mi raggiunse nel Monastero di Bose, dove mi
trovavo per gli esercizi spirituali con un gruppo di preti. Bose
è forse la fondazione che maggiormente ha percorso i cammini indicati
dal cardinale per rivitalizzare la vita della Chiesa: ritornare
alle sorgenti limpide e fresche della Sacra Scrittura, promuoverne
la conoscenza, lo studio, la preghiera per immettere lo Spirito
genuino della Rivelazione nelle stanche secche del fiume della
Chiesa. Assieme ai monaci l’abbiamo accompagnato con la preghiera
nel suo sereno transito. Poi nel viaggio di ritorno i pensieri
e le emozioni si sono affastellate nella mia mente e nel mio cuore.
Mi è impossibile ordinarle, occorrerà lasciarle sedimentare e
riprenderle con maggiore lucidità e ponderatezza. Per me è stato
un modello, un maestro, una guida e prima ancora un amico riservato
e rispettoso come solo lui sapeva essere.
Mi
ricordo quando lo incontrai a Gerusalemme, in occasione del primo
pellegrinaggio da Vescovo nel 2004, ed egli salutandomi mi disse:
“Adesso devi darmi del tu”. Questo era il card. Martini, un uomo
autentico, schietto, genuino, da farmi ricordare l’apprezzamento
di Gesù per un apostolo, Natanaele: “Questo è un autentico israelita
in cui non c’è falsità” (Gv 1,47). Era limpido come i suoi occhi
chiari. Volendo riassumere in una immagine la sua figura di religioso
e di pastore, mi rifarei a quella di “Padre della Chiesa”. Martini
non fu un vescovo fra tanti, fu un vero, autentico Padre della
Chiesa, con una capacità di rivitalizzare una tradizione gloriosa
come quella ambrosiana, della più grande diocesi del mondo, aprendole
le ricchezze delle Sacre Scritture. Questo suo risalire alle origini,
alle sorgenti fondanti ogni autentica fede, mi pare essere il
merito maggiore che lo fece di conseguenza anche attento, aperto,
dialogante con il suo tempo.
Oltre
alla Scuola della Parola, che riempiva di migliaia di giovani
il duomo di Milano, quella sua iniziativa della Cattedra dei non
credenti indica l’attenzione, la cura e la premura di Martini
per l’uomo contemporaneo, i suoi problemi, i suoi dubbi, le sue
angosce, la sua ricerca fuori da schemi convenzionali. La capacità
di ascoltare, di comprendere, di dialogare, di illuminare senza
imporre, senza scomunicare, mi pare un pregio di cui portargli
riconoscenza e gratitudine. Come un vero Padre della Chiesa che
vuole dare la vita, rigenerare, aiutare tutti a ricominciare,
per dare un senso compiuto agli smarrimenti ed inquietudini dell’uomo
contemporaneo. Il suo Magistero occupa ben tre scaffali della
mia biblioteca, è un tesoro su cui bisognerà ritornare come avviene
per i Padri della Chiesa. Non posso non ricordare con viva commozione
che da Arcivescovo emerito venne molte volte di giovedì, accompagnato
dal mio segretario, in Ticino, per una breve passeggiata in località
che amava rivedere; seguivano il pranzo in Curia e poi il rientro
a Gallarate nella casa di riposo, di cui era ospite. Conservo
nel cuore quegli incontri e quelle conversazioni lucide, serene,
coraggiose. L’ultima volta che lo visitai a Gallarate mi regalò
una raccolta di suoi scritti e interventi intitolati “Le ragioni
del credere”.
Questo
fu il Padre della Chiesa Carlo Maria Martini, offrire anche all’inquieto
uomo moderno le ragioni della speranza che era in lui, che è il
compito assegnato da Gesù a Pietro: offri le ragioni della speranza
che è in te.
Mons.
Pier Giacomo Grampa,
Vescovo di Lugano
IL
MENDICANTE CON LA PORPORA
Se
lo avesse voluto, magari attenuando qualche sua posizione riformatrice,
avrebbe potuto varcare il soglio pontificio. Ma a Roma preferì
Gerusalemme. E al potere, gli studi e la gente. Martini non è
stato soltanto un grande arcivescovo di Milano, negli anni difficili
del terrorismo e dello sgretolamento morale della Prima Repubblica.
Non è stato soltanto il tenace promotore della cattedra
dei non credenti, il teologo raffinato e anticonformista, l'oppositore
creativo pur nella disciplina delle gerarchie ecclesiastiche.
È stato soprattutto un padre comprensivo in una società
che di padri ne ha sempre meno, pur avendone un disperato bisogno.
Nessuno avrebbe mai immaginato che l'algido rettore gesuita, scelto
da Giovanni Paolo II alla fine degli anni Settanta come successore
di Sant'Ambrogio, così aristocratico e apparentemente freddo,
avrebbe parlato al cuore di tutti, non solo dei fedeli, con tanta
concreta semplicità. Delle molte lettere alle quali Martini
rispose, negli anni in cui tenne la sua rubrica sul Corriere,
fino al giugno scorso, rubrica che spiacque a Roma, ne vorrei
ricordare una sola. Di un non credente, convinto però che
«quella cosa bellissima che è la vita non ha potuto crearla
nessun altro che un essere straordinario». Martini rispose così:
«Nonostante la differenza tra il mio credere e la sua mancanza
di fede siamo simili, lo siamo come uomini nello stupore davanti
al creato e alla vita». Sono parole bellissime che disegnano il
senso profondo di un destino comune. E interrogano la nostra coscienza,
un «muscolo», diceva Martini, che va allenato.
Nel
suo libro Le età della vita, il Cardinale ricordava
un proverbio indiano che divide la nostra esistenza in quattro
parti. Nella prima si studia, nella seconda si insegna, nella
terza si riflette. E nella quarta? Si mendica, anche senza accorgercene.
Il mendicante con la porpora ha avuto l'umiltà di dismettere
i suoi abiti curiali e di condividere con noi timori e fatiche.
E come un padre ha tentato di aiutarci a sciogliere i dubbi che
ci assalgono «la notte, quando l'oscurità affina i sensi
e l'immaginazione». A rispondere a quelle domande sui valori della
vita che assomigliano a tanti «sassi che cadono nel buio del pozzo»
e ad insegnarci, da grande comunicatore qual era, le insostituibili
virtù del dialogo e dell'ascolto. In Conversazioni notturne
a Gerusalemme, scritto con Georg Sporschill, Martini affrontò
molti argomenti scomodi per la stessa Chiesa: dalla contraccezione
all'adozione dei single, dalla comunione per i divorziati alle
tematiche del fine vita, forse tra le cause del suo isolamento
ecclesiastico. E il rifiuto finale di un accanimento terapeutico,
quasi un testamento biologico, farà discutere e riflettere.
Nell'ultimo
colloquio che avemmo, Martini, ormai senza voce, soffriva per
gli scandali che scuotevano la Chiesa (indietro di 200 anni, dice
nell'ultima intervista che pubblichiamo) e, pur su posizioni diverse,
manifestava tutto il suo affetto e la sua vicinanza al Pontefice.
Sarebbe un gesto altamente simbolico per l'unità della
Chiesa, persino rivoluzionario, se lunedì in Duomo, per
l'estremo saluto, ci fosse anche Benedetto XVI.
Ferruccio
De Bortoli,
Direttore del Corriere della Sera
Saluto
del card. Tettamanzi
a conclusione della Messa esequiale
Carissimi
fedeli e amici tutti,
mi è difficile dire una parola in questo momento, tante
sono le emozioni, tanti i ricordi che si accumulano, tante le
voci ascoltate che si sono riversate in questi giorni come un
fiume nel mio cuore. Sì, mi è davvero difficile parlare.
Il Cardinale Martini mi ha imposto le mani per la consacrazione
episcopale. Lui è stato, per me come per tantissimi altri, punto
di riferimento per interpretare le divine Scritture, leggere il
tempo presente e sognare il futuro, tracciare sentieri per la
missione evangelizzatrice della Chiesa in amorosa e obbediente
docilità al suo Signore. Il cardinale Martini mi ha accolto come
suo successore sulla cattedra di Ambrogio e Carlo consegnandomi
il pastorale mentre mi diceva: “Vedrai quanto sarà pesante!”.
Mi è difficile parlare. Eppure vorrei in questo momento tentare
di essere voce di questa Chiesa di cui il Cardinale Carlo Maria
è stato, nel nome del Signore, padre, pastore, maestro, servo,
intercessore, testimone della verità di Dio e della dignità dell’uomo.
Che cosa dice oggi questa santa Chiesa di Milano? Dice:
“Noi ti abbiamo amato! per il tuo sorriso e la tua parola,
per il tuo chinarti sulle nostre fragilità e per il tuo sguardo
capace di vedere lontano, per la tua fede nei giorni della gioia
e in quelli del dolore, per la tua arte di ascoltare e di dare
speranza a tutti: a tutti!” . Dice ancora questa Chiesa di Milano:
“Noi ti amiamo e di fronte al mistero della morte professiamo
la nostra fede nella Risurrezione e nella Comunione dei Santi,
che non separa coloro che si amano ma li chiama a una più alta
partecipazione alla gloria di Dio. Noi ti amiamo e sappiamo che
ci sei e ci sarai vicino: sempre!”.
Dice di nuovo la nostra Chiesa: “Noi diamo lode a Dio insieme
con te: ‘Benedetto il Signore, il Dio di Israele, che ha visitato
e redento il suo popolo’. Noi diamo lode a Dio che ti ha donato
di vivere secondo il tuo motto di Vescovo Pro veritate adversa
diligere e che ti ha chiamato ad entrare ora nella gioia senza
ombre attraversando nella fede e nella speranza la fatica del
soffrire e del morire”.
“Noi
ti abbiamo amato, noi ti amiamo, noi ci uniamo ora al tuo canto
di lode. Continua a intercedere per tutti noi”.
“FESSURE”
ricordi della nostra amicizia con Padre Carlo
La
fessura è un punto di vista privilegiato. Nella sua limitatezza
non consente distrazione. L'attenzione rimane concentrata su un
frammento, e succede che vedi la realtà e le persone attraverso
le sfumature, i cenni, il non detto, un gesto, uno stile. È così,
attraverso fessure, che lungo tutti i ventidue anni della sua
permanenza a Milano, abbiamo conosciuto “Padre Martini”.
I primi tempi che ci conoscevamo, un giorno sento squillare il
telefono, rispondo, sento la sua voce: “Pronto, sono Padre Martini...”.
Voleva sapere se mi ero rimessa dalla forte emicrania del giorno
prima. Ben presto fu sempre semplicemente Padre Carlo: nei momenti
privati, di riposo, a casa nostra, a tavola, una volta anche il
compleanno con le candeline. Andavamo a prenderlo in piazza Fontana,
quasi furtivamente. Lui invece non faceva nulla di speciale per
passare inosservato e così il vicino di casa si trovò a salire
con noi in ascensore, un po' stupito.
Le vacanze le passava a Carezza, Dolomiti. Noi lì vicino. La montagna
era un ambiente ideale per stare con lui: il tempo era disteso,
governato solo da distanze e dislivelli, da sole e pioggia, la
difficoltà della parete, la lunghezza del percorso, la lontananza
del rifugio. Lì tutto era particolarmente semplice. Lui sapeva
vivere tutto nella naturalezza più totale, eppure non gli apparteneva
per niente lo spirito facile della compagnia, dello stare allegramente
in gruppo. Diceva di sé : “Io non sono mai andato all'asilo. Dicono
che si vede”. Semplicemente era libero, in qualsiasi situazione.
Lo si capiva anche dalla sua completa fiducia verso gli altri:
mai dubbi o riserve sulla scelta del percorso, sulle vie ferrate,
sulle sicurezze in parete (e forse avrebbe avuto ragione di averne!).
Sempre sereno o, al massimo, ironico. Vedevamo che per lui che
ogni momento era un momento buono. Adesso lo capiamo meglio, ma
allora ci spiazzava.
Come ci spiazzava la sua capacità di stare nella natura senza
intellettualismi, osservandola e godendone per quello che era,
non come metafora o rimando a realtà spirituali. Così sullo Schenon
del Latemar poteva sdraiarsi e addormentarsi dietro ai suoi occhiali
da sole, perché era stanco. Nel grande catino erboso del Larsec
si tolse gli scarponi e celebrò la messa su una grande pietra.
La corda da montagna arrotolata serviva a tener ferma la tovaglia.
Il vino era buono. Al rifugio Bolzano, sullo Sciliar: ci arrivammo
distrutti, alla fine di un percorso estenuante. Eravamo tutti
assetati, ma ci stupì ugualmente l'enorme stivale di birra che
il Padre ordinò e bevve con grande soddisfazione! Nonostante il
parere dell'amico gesuita (“un cardinale non rientra mai dopo
le cinque”) non si sforzava di conservare schemi, di dare immagini
di sé, e quella volta sforò i tempi previsti. Ma nello zaino teneva
un pettine: alla fine della discesa, prima di rientrare tra la
gente, mi chiese di prenderglielo e si pettinò. La sua innata
eleganza era anche rispetto per gli altri.
C'erano
anche i momenti più seri. Ogni tanto metteva distanza tra sé e
il gruppo e capivamo che voleva stare in silenzio e pregava. Altre
volte camminare a lungo diventava l'occasione per confidenze:
ancora continuo a stupirmi di come abbia potuto rivelare certe
preziosissime schegge di sé a gente come noi, allora poco più
che ragazzi. Spesso si parlava di argomenti molto impegnativi,
che riguardavano la chiesa, la morale, la religione in generale,
ma eravamo noi giovani a sollevare le questioni o l'amico teologo.
Lui diceva poche cose, brevi, ma forti, come quelle che molto
più tardi sono comparse più distesamente nei suoi libri e nelle
interviste di quando non era più a Milano. Diceva il suo pensiero,
ma non entrava nelle discussioni. Lasciava che le cose andassero
per proprio conto e lui passava sul versante della leggerezza,
come quando ci lasciò lì a discutere e prese sulle ginocchia nostro
figlio. Alla domanda “perché hai quella fossetta nel mento?” il
Padre gli spiegò che gliela aveva fatta la mamma shiacciandolo
col dito quando era nato.
Poi
Gerusalemme.
E dopo la pausa di Gerusalemme, vennero i giorni di Gallarate.
Cominciammo ad andarlo a trovare all'Aloisianum, prima nel salottino
a piano terra, poi, quando gli fu più difficile camminare, nel
suo appartamento in fondo al corridoio, con la porta a vetri.
Chissà perché, è rimasto impresso a tutti quel corridoio. Una
volta mi parve interminabile, quando lo percorremmo col Padre
rientrando da una gita a Baveno: lui camminava con il bastone
da una parte e suor Germana dall'altra. Ogni tanto sembrava che
perdesse l'equilibrio, si fermava, lo aiutavamo a raddrizzarsi
e ripartiva coraggiosamente. Nessun cenno di fastidio, di insofferenza.
A Baveno ci avevano raggiunti per brevi istanti nostro figlio
con la sua famigliola. Fu un momento magico quando Martini vide
il bambino che aveva solo nove mesi . Si guardarono a lungo negli
occhi; restarono così, per un tempo che ci sembrò interminabile.
Mi sembrava che tutta una vita di amicizia, di ricordi arrivasse
ora a raggiungere Gabriele e ci oltrepassasse lanciandosi in avanti.
Ricordo quando il bambino era invece mio figlio e la volta che
gli regalò un orso di peluche, di quelli che si infila la mano
dentro, come un burattino. Venne subito battezzato “Orso Carlo”.
Oggi con “OrsoCarlo” ci gioca Gabriele, mio nipote. La prima volta
che andammo a Gallarate venne anche nostra figlia: lui parlò molto
con lei, ascoltava, domandava: come sempre voleva capire, i giovani
in particolare. A Gallarate i tempi erano totalmente dedicati
all'incontro, interrotti brevemente solo dalla somministrazione
delle medicine. Momenti intensi. Si parlava di tutto, anche se
la voce diminuiva. Lui sempre chiedeva le nostre opinioni, come
faceva a Carezza, quando doveva preparare le omelie e si leggevano
insieme i testi biblici, poi lui chiedeva: “Voi che cosa ne pensate?”.
Nella gita a Baveno, durante le vacanze di Natale, gli infermieri
ci avevano spiegato come somministrargli le medicine. Dovevamo
essere molto precisi, nei tempi e nelle modalità. Ero un po' preoccupata
di saper accudire senza violare la sua riservatezza. Per tutto
il giorno, in ogni occasione lui seppe renderci semplice questo
piccolo servizio. Per noi una tenerissima esperienza. Uno dei
pomeriggi a Gallarate ci volle offrire il tè: chiese alla persona
che lo accudiva di portare anche la torta; ci fu qualche resistenza,
ma insistette: voleva sorridere, aveva il gusto della leggerezza.
Apprezzava i momenti conviviali e ne ricordiamo diversi legati
a nomi di rifugi: il Nigra, il Duca di Pistoia. “Rifugio” è il
nome giusto per quei ricordi.
Negli ultimi incontri a Gallarate, ci regalava i suoi libri e
voleva sempre scrivere la dedica. Ammiravamo la sua tenacia, con
la fatica che gli costava, nel prendere la penna e scrivere, senza
alcun segno di insofferenza, incurante dello sfrangiarsi del tratto,
per nulla contrariato dalla linea che ormai si muoveva sciolta,
libera da ogni forma sulla pagina bianca. Ora vi riconosciamo
la cifra di un cammino.
Grazie
padre Carlo,
Ornella
e Federico
FATIMA
E NON SOLO FATIMA ...
In
un cielo azzurrissimo porcellanato la bianca statua del Cristo
Re, che sovrasta Lisbona, ci accoglie nel suo abbraccio, assieme
ai bianchi quartieri portuali della città, alle stradine medioevali
che si inerpicano in un continuo saliscendi e che impareremo a
conoscere, alle torri e alla fortezza alla confluenza del fiume
Tago con l’Oceano, al ponte rosso uguale a quello di San Francisco.
La statua è stata voluta come ringraziamento, dopo l’orrore della
II guerra mondiale, a cui il Portogallo non ha partecipato mantenendosi
neutrale. Questo è un posto dedicato alla pace, all’accoglienza
e alla multicultura: ci piace cominciare da qui, in un Paese che
ha visto viaggi, scoperte, mondi impensati, mantenendo una sua
fiera e forte identità. Percorriamo in pullman le avenidas ombreggiate
da doppie file di alberi, con splendidi marciapiedi in pietra
chiara, arabescati da disegni neri sempre diversi: capiamo che
questa capitale ha un fascino particolare, che scopriremo poi.
Siamo tutti molto addolorati per il cardinale Martini. La mattina,
arrivati nell’incantevole medioevale Evora, durante la messa nella
chiesa di San Francesco, ci uniamo idealmente in preghiera ai
milanesi e a tutti coloro che stanno per salutarLo. Troppe sono
le riflessioni che ciascuno si porta nel cuore, per riportarle
qui. Un campanile a vela, con le campane sospese nel cielo, ci
fa avvertire un’atmosfera senza tempo, in questo borgo lindo,
dove il gotico si mescola alle case bianche bordate di giallo,
ad un tempio romano, alle festose ceramiche che occhieggiano nelle
viuzze.
Tomar
ci sorprende con la inquietante fortezza dei Templari, divenuta
poi dell’Ordine dei Cavalieri di Cristo, dopo la loro dispersione:
la decorazione manuelina che arricchisce con i cordami ritorti
che sempre ricordano il mare non alleggerisce un’impressione di
potenza schiacciante, di forza cupa che i mostri a guardia della
chiesa e del convento sembrano moltiplicare, eco dei complicati
rapporti tra Chiesa, Sovrani e fede.
Fatima
ci aspetta. Molti di noi sono inizialmente sconcertati dall’enorme
spianata che circonda la Capelinha dell’apparizione (ha la forma
di piazza San Pietro, ma è di dimensioni maggiori...), dalla chiesa
che è stata fatta costruire di fronte alla basilica (contiene
fino a 9.000 persone), dalla inevitabile mercificazione che avvolge
questi luoghi e dalla cementificazione che forse è altrettanto
inevitabile, date le folle di pellegrini: qualcuno fatica a trovare
un raccoglimento che si aspettava più facile. La Via Crucis tra
gli olivi e i lecci, nei luoghi dei Tre Pastorelli, ci riporta
una più concentrata meditazione. Ci interroghiamo, la sera, sul
significato di un pellegrinaggio: certo, è importante venire proprio
“nel” luogo; confrontarsi con i fedeli che percorrono in ginocchio
la spianata colpisce come vedere, ricordano, ragazzi pregare di
notte sotto l’acqua davanti alla grotta di Lourdes. Non è senza
impotanza che il messaggio di Fatima sia arrivato a semplici e
umili, rammenta Don Giuseppe. Poi la preghiera comune, in tante
lingue diverse ma uguale nell’invocazione, in questa Capellina
aperta e a vetri, accessibile ugualmente a tutti anche allo sguardo,
ci restituisce la potente emozione di una condivisione e la breve
processione illuminata dalle candele scioglie nella commozione
le nostre richieste e i nostri ringraziamenti.
Coimbra,
sede di una delle più antiche università d’Europa, città natale
di 6 re portoghesi e della dinastia dei Borgogna, testimonia con
la preziosa, ricca ed austera biblioteca universitaria e con l’imponenza
del Duomo Romanico la sua secolare importanza: qui, nel convento
del Carmelo, risiedeva suor Lucia, qui in una chiesa è visibile
S. Antonio ancora con la veste agostiniana (S. Antonio nato a
Lisbona, eh sì, poi passato ai Francescani). Interessanti edifici
liberty, allegro fado che risuona per le viuzze medioevali. Poi
ci impressiona il monastero di S. Maria della Vittoria a Batalha,
voluto come ringraziamento per la vittoria dei Portoghesi contro
il re spagnolo di Castiglia: difficile è descrivere l’imponenza
e la grazia di questo complesso in stile gotico-manuelino, con
volute e fregi così particolari. La ieraticità della navata centrale,
le dolci geometrie del chiostro ci incantano, ma non quanto le
cosiddette cappelle imperfette, che si apronono nella loro incompiutezza
verso il cielo mai completate, ma suggestive con il susseguirsi
di ricami in pietra traforata e con i pizzi che – ancora una volta
- indicano l’influenza di culture diverse. Testimonianza indubbia
di potere e di forza, questo luogo ci regala un insolito particolare
affettuoso: il sepolcro del fondatore e di sua moglie inglese
(una Lancaster), mostra i due sovrani in atto di tenersi teneramente
le mani, per l’eternità.
Nazarè,
villaggio di pescatori in riva all’Oceano, ci lascia intravedere
qualche vecchina ancora vestita con le tipiche gonne nere a balze,
corte per poter entrare in acqua ad aiutare i pescatori di ritorno
con la barca carica di pesci. Obidos ci incanta con il tripudio
di colori delle case bianche e blu, con i fiori che occhieggiano
ovunque e… - diciamolo - con la deliziosa Ginja, vino liquoroso
a base di ciliegie. Qui, in una chiesa, oltre alle pareti decorate
con splendidi azulejos, vediamo affrescati nel soffitto angeli
neri: segno della curiosa attenzione ai nuovi mondi esplorati
e dell’accettazione - nel 1500...!!! - dell’uguale dignità di
creature di culture diverse.
Lisbona
con il Duomo, le piazze magnifiche dai palazzi quasi parigini,
le vie tortuose dove sembra aggirarsi lo scrittore Pessoa, i barrios
(quartieri) più “sgarrupati” come l’Alfama o più tipici e pieni
di vita come il Barrio Alto, gli spericolati tram gialli lanciati
su e giù per le salite, sembra offrire continue occasioni di stupore.
Due visite sono notevoli: il Museo dell’armeno Gulbenkian, raffinato
collezionista di pezzi di rara bellezza – dall’arte orientale
ai quadri degli impressionisti a stupefacenti creazioni di Lalique
– e il quartiere di Belem. A Belem ci sono l’omonima Torre, da
dove partì l’esploratore Vasco de Gama, uno dei simboli della
città, e il monumento al Navigatore, che testimonia l’orgoglio
per il coraggio e l’intraprendenza di un popolo che ha sempre
sfidato l’oceano. Sembra di respirare questa tensione verso l’ignoto
anche a Cabo de Roca, l’estremo lembo di terra occidentale che
si protende a picco sul mare, a 140 m. sopra spettacolari faraglioni
e scogli, là dove, recita la lapide, “la terra finisce e il mare
comincia”, come diceva il poeta Camoes. Lì, le onde che si spezzano
sulle rocce, venendo chissà da quali lontananze, ci suggeriscono
che ogni tumultuoso travaglio alla fine si stempera, si ricompone
in una diversa ed insperata armonia.
L’ultimo
giorno, 8 settembre – festa di Maria – ci regala un’inaspettata
emozione: la visita al nuovo quartiere nato per l’Expo in un luogo
dove c’erano solo pietre e sassi (loro sì che ce l’hanno fatta,
in tre anni, ed anche bene, loro…). Qui siamo catturati dalle
ardite linee architettoniche dei palazzi che si protendono verso
il mare come vele di enormi velieri, dal ponte lungo 17 km che
attraversa l’esteso estuario del Tago, dalle spettacolari geometrie
delle palme stilizzate ideate dal famoso architetto Calatrava,
da una modernissima concezione urbana. Ancora una volta tradizione
ed apertura al futuro si fondono in maniera creativa ed originale.
E poi sì – confessiamolo – diventiamo tutti bambini entusiasti
nell’Oceanario, uno dei più grandi e particolari acquari d’Europa:
siamo come risucchiati in un mondo marini che ci viene incontro,
sempre diverso e quasi enigmatico, da queste vasche gigantesche
in cui ci sembra di penetrare. Bandiere di tanti Paesi si riflettono
sull’acqua, un senso di armonia e di equilibrio ci è suggerito
dagli spazi. Una strana funivia orizzontale, che segue la linea
della riva del fiume, come per permettere ai visitatori di percorrere
con lo sguardo il dipanarsi delle linee architettoniche, simboleggia
forse tanti desideri inespressi o tante speranze.
Così
mi piace ricordare il saluto di Lisbona, nel giorno in cui partiamo
per ricongiungerci al nostro Duomo ed alla nostra Milano.
Daniela
Costamagna
VENERDÌ
28 SETTEMBRE ALLE ORE 21.00
Primo
incontro del
PERCORSO DI PREPARAZIONE AL MATRIMONIO
Un
secondo corso è previsto a partire dal 18 gennaio 2013
Per
informazioni e iscrizioni
rivolgersi in Segreteria parrocchiale
DOMENICA
30 SETTEMBRE
FESTA DELL'ORATORIO
Programma
Ore 10,00 S. Messa
Al termine si scende in Oratorio per i giochi
Ore 12,30 Pranzo per i bambini e i ragazzi
(iscrizioni in oratorio 5 € entro venerdì 28 settembre)
Ore 14,00 grandi giochi insieme
Ore 16,30 Merenda e… riviviamo l’estate:
istantanee dalle vacanze insieme
Domenica
7 ottobre 2012
Castagnata dell’Oratorio alla Bressanella di Lecco
Informazioni e iscrizioni in Oratorio
"VENITE,
CANTIAMO LA NOSTRA GIOIA AL SIGNORE" (salmo
94, 1)
Con
la riapertura dell’oratorio, torna in servizio anche il Coro dei
giovani per animare la Messa delle 10. Anche quest’anno ci ritroveremo
qualche venerdì per fare le prove, sempre dalle 20.45 alle 21.45
oppure la Domenica dopo la Messa.
Il
calendario completo del coro sarà presto a disposizione in oratorio
e sulla pagina http://cantosangiovanni.blogspot.com.
A quanti hanno sempre pensato o per la prima volta pensano che
il coro sia una proposta “appetibile” ripetiamo quanto dice il
Salmista: "Venite, cantiamo la nostra gioia al Signore!" e aggiungiamo…
"già dalla prossima domenica!".
Il gruppo, ormai consolidato, è sempre in attesa di nuove leve,
soprattutto di voci maschili.
Non servono iscrizioni, ma solo un po’ di voce e sorriso.
È questo forse il segreto per cui dopo tanti anni la proposta
del coro conserva ancora la sua freschezza e il suo slancio...
nonostante la sveglia puntata per essere in chiesa alle 9.40!
Coro
Erano Uomini Senza Paura
Ricomincia
lo SPAZIOSTUDIO!!!!
Dal
lunedì al giovedì dalle ore 15 alle 17 in Oratorio
per i ragazzi delle Scuole Medie e Superiori
Per informazioni, iscrizioni, adesioni come volontario:
rivolgersi a don Paolo o in segreteria parrocchiale
Riapre
lo SPAZIO GIOCO PER BAMBINI,
segno concreto e semplice dell'attenzione educativa
che l'oratorio e la parrocchia vogliono dare anche ai bambini
tra i 6 mesi e i 3 anni
martedì, mercoledì e giovedì mattina dalle ore 9 alle ore 12
Per informazioni rivolgersi in segreteria parrocchiale
IL
FUTURO DI PIAZZA BERNINI
martedì 9 ottobre alle ore 21 in oratorio
incontro con Lucia Castellano
Assessore ai Lavori Pubblici
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