FIDARSI
DI DIO
“… Anche quella sera, senza dire parole, misero le barche in mare,
vita dalle mani di Dio”. Così uno dei canti preferiti dal coro
della S. Messa delle ore 10, che rilegge l’episodio narrato nel
cap. 21 del Vangelo di Giovanni.
Così per me questa sera, quella della terza domenica che trascorro
nella nuova parrocchia: mettere di nuovo la barca della mia vita
in mare, fidandomi della Sua parola. Scrive Giovanni che questa
era la terza volta in cui Gesù appariva agli apostoli dopo la
risurrezione. E quella volta chiese loro fiducia incondizionata.
Anzi a Pietro chiese esplicitamente di seguirlo fin dove sarebbe
stato necessario.
Loro l’avevano visto risorto, avevano ricevuto il dono della pace
e il soffio dello Spirito, avevano visto il segno dei chiodi nelle
sue mani… eppure il loro cuore era ancora appesantito, la loro
gola non riusciva a sciogliersi in canti di gioia, i loro passi
non si erano ancora rivolti verso l’annuncio. Stavano pescando
a vuoto, quella giornata, e un senso di fatica attraversava le
loro vite. Dovevano fidarsi, o meglio, affidarsi, perché tutto
acquistasse senso.
Così per me, stasera: nella grande fatica del lasciare la nostra
comunità ritrovare un germe di risurrezione!
Sembra
solo ieri quando incrociavo per la prima volta lo sguardo di don
Angelo, che mi accoglieva paternamente in Arcivescovado, quando
entravo per la prima volta nella nostra chiesa e contemplavo il
nostro Crocifisso, quando, con timore celebravo le prime Messe,
quando conoscevo le catechiste, quando incontravo Alessio, il
primo dei tanti bambini (più di mille!!) che avrebbero dato senso
alla mia vocazione, quando i giovani mi scrutavano attenti al
nostro primo incontro, quando conoscevo il gruppo H, quando Luisella
(e chi era???) mi diceva di aspettare un bambino, quando il Rino
mi mostrava orgoglioso il nostro oratorio… e sono passati undici
anni… e tante storie sono diventate la mia storia, tanti volti
e tanti incontri il volto di Dio e la Sua storia!
Don
Angelo mi ha insegnato a “stare sulla soglia” ad accogliere, senza
discriminare e senza avere preconcetti; i bambini, gli adolescenti
e i giovani mi hanno insegnato a sporcarmi le mani, a sedermi
accanto ed essere un po’ come loro per annunciare Gesù; i genitori
mi hanno insegnato che la fatica del vivere talvolta apre il cuore
ma spesso lo chiude; gli anziani mi hanno educato “all’ascolto”;
la fame e la sete di Dio nella nostra comunità non mi hanno mai
fatto stare seduto, per accontentarmi di quanto a poco a poco,
insieme, stavamo costruendo, ma mi hanno fatto scoprire nuove
vie di evangelizzazione; don Giuseppe mi ha insegnato l’attenzione
alla corresponsabilità pastorale; le fatiche nei rapporti mi hanno
insegnato a guardare sempre di più dentro di me per ritrovare
la verità del mio essere prete; i sorrisi per le strade, le quattro
chiacchiere, la vita nel “mio” quartiere, gli amici veri, mi hanno
fatto sentire davvero uomo tra gli uomini.
E quanti errori!!! Errori educativi, errori di stima, di sopravvalutazione
di sé, mancanze di ascolto, rigidità, fraintendimenti: per questi
chiedo davvero il perdono!
Undici
anni: riguardandoli ho scoperto di non aver fatto niente di straordinario,
se non lo straordinario vivere insieme la quotidianità del Regno
di Dio che cresce.
E mi sono fidato di Dio… innamorato della mia comunità e della
sua vita sapevo di percorrere i Suoi sentieri… per condurre ogni
relazione a Lui, fonte della vita!
Ora siamo chiamati a riprendere il largo: voi nel sorriso accogliente
di don Giuseppe Lotta e nella guida del nostro parroco; io… nell’imparare
ad amare altri volti e altre storie, rendendo grazie a Dio perché
ci ha creati con un cuore così grande che permette all’amore di
moltiplicarsi e non di dividersi!
Rileggendo queste parole mi rendo conto di quanto sia difficile
salutarvi e soprattutto di quanto rimane nel segreto del cuore:
sono certo che nessuna briciola di quello che abbiamo vissuto
sarà dispersa nell’amore di Dio. Bisogna soltanto portargliela
per scoprire che ne fa pane per noi e per i nostri fratelli!
Vi affido a Lui attraverso le mani materne di Maria.
Con
amore
Don Paolo
P.S. Il mio nuovo indirizzo:
Parrocchia S. Maria di Caravaggio, via Brioschi, 38 - 20136 Milano.
Il numero di telefono e le mail rimangono invariati!
CONCERTO PER DON PAOLO
W.
A. Mozart Ein Musikalischer Spass K 522
W.
A. Mozart Divertimento n.15 K 287
L.
van Beethoven Sestetto Op. 81
Fatlinda
Thaci e Engjellushe Bace violino
Stefan Veltchev viola
Claudio Giacomazzi violoncello
Alessandro Mauri e Ambrogio Mortarino corno
Strumentisti delll’Orchestra I Pomeriggi Musicali
SABATO 5 OTTOBRE ORE 21.00 IN CHIESA
DON
GIUSEPPE JR. SI PRESENTA...
Dallo
scorso 4 settembre, dopo qualche apparizione e chiacchierata con
don Giuseppe e don Paolo, abito nella nostra comunità: vi scrivo
qualche notiziola sul mio conto, in attesa di conoscerci personalmente.
Sono
nato a Milano il 17/01/1967 da mamma Rosetta e papà Eugenio, tuttora
in buona salute ed estremamente collaborativi. Ho un fratello,
Roberto, nato un paio d’anni dopo di me, che da sempre mi copre
le spalle soprattutto in campo informatico. Ho praticamente sempre
vissuto a Quinto Romano (dove si trova Aquatica), nella parrocchia
Madonna della Divina Provvidenza. Dopo le regolari scuole dell’obbligo,
ho conseguito nel 1986 il diploma di perito industriale per l’energia
nucleare, ma già da qualche anno il mio cuore mi stava portando
altrove, e non perché due mesi prima della maturità esplose la
centrale di Cernobyl! Nell’ultimo anno delle superiori, infatti,
avevo iniziato il cammino di noviziato presso il seminario di
Saronno, visto che da circa tre anni avevo cominciato a capire
che il Signore mi chiamava a seguirlo e a donarmi nell’essere
prete.
Sono
entrato in Seminario il 5 ottobre 1986 e sono stato ordinato diacono
il 10 ottobre 1993, quindi presbitero l’11 giugno 1994.
Dopo la prima estate trascorsa nella parrocchia di Pasturo, in
Valsassina, sono stato nominato vicario parrocchiale a Baranzate,
all’epoca frazione di Bollate, dove mi sono occupato essenzialmente
dell’oratorio, dell’iniziazione cristiana e della pastorale giovanile.
Dal 1995 ho avuto anche l’incarico di insegnante di religione
presso la locale scuola media.
Nel
settembre 2004 sono stato trasferito nella parrocchia di san Barnaba
in Gratosoglio, a Milano. Anche qui ho mantenuto l’incarico della
cura dell’oratorio, della pastorale giovanile e dell’ultima parte
del cammino di iniziazione cristiana.
A partire dal 2009 mi è stata anche affidata la pastorale giovanile
della vicina parrocchia di Maria Madre della Chiesa, con la quale,
a partire dal 2010, è iniziato il percorso di comunità pastorale.
Nel 2010 quindi sono stato nominato vicario parrocchiale di entrambe
le parrocchie.
Ora
sono qui, dove l’accoglienza e i sorrisi che mi avete riservato
mi sono stati preziosi per superare la fatica del distacco da
Gratosoglio.
C’è una frase importante che mi ha accompagnato in questi anni,
dal salmo 52,10: “Mi abbandono alla fedeltà del Signore ora e
per sempre”.
In questi giorni un po’ faticosi mi sono sentito proprio così...
Ed eccomi per lasciar scrivere al Signore, insieme a voi, un altro
capitolo della nostra vita.
Don
Giuseppe
DON
CESARE SI PRESENTA...
Ho
fatto la mia scelta
definitiva per Gesù, nell’ordinazione diaconale, quando non avevo
ancora 23 anni ( ho dovuto chiedere il permesso al Papa per iniziare
).
Parto così nell’autopresentarmi perché credo che questa cosa dica
bene il desiderio che mi abbraccia e mi descrive: che l’incontro
con il Signore della vita sia tutto. Può sembrare altisonante,
forse anche presuntuoso ma non posso accontentarmi di mezze vie
avendo sperimentato “la via migliore di tutte”, una via che mi
è apparsa in tutta la sua bellezza e corrispondenza prima attraverso
la famiglia, siamo cinque fratelli, e poi attraverso la vita della
Comunità cristiana di Concorezzo, fatta di vita d’oratorio ma
non solo.
Il tempo del Seminario mi ha aiutato a scoprire che quello che
era accaduto aveva una sua origine: i sacramenti, e una sua ragione:
lo studio teologico; ma soprattutto di quegli anni mi è rimasto
il gusto di un’amicizia basata e nutrita dalla stessa intuizione
vocazionale.
Divenuto prete sono stati diversi i traslochi che ho fatto, in
parrocchie tra loro anche molto diverse e apparentemente contraddittorie:
ho iniziato con la periferia di Milano (S.Ignazio al quartiere
Feltre), poi sono passato nella verde Brianza, patria del mobile
(Lissone, Madonna di Lourdes), di lì sono tornato nel centro di
Milano, luogo ricco di provocazioni e stimoli (san Marco), infine
nel 2006 mi è stato chiesto di iniziare, da Parroco, a Liscate,
nella periferia orientale della diocesi. C’è una cosa che lega
esperienze così diverse: il fatto che ho sempre obbedito e detto
sì alla voce del Vescovo, anche quando mi ha chiesto cose davvero
faticose; e in questo dire di sì ho trovato sempre una grandissima
convenienza.
Elemento unificante dentro questi 26 anni di ministero pastorale
è l’insegnamento nelle scuole superiori, l’utilità di questa scelta
è per me davvero grande perché a scuola trovi tutti i ragazzi
e a tutti devi dare ragione della fede; esercizio quest’ultimo
che mi ha permesso di imparare a non dare per scontato né il mio
cammino né quello degli altri.
Ed
eccomi all’oggi; ora, inaspettatamente, l’obbedienza mi porta
a cominciare di nuovo insieme agli universitari nella chiesa di
san Pio Decimo e alla nascente Comunità Pastorale tra san Giovanni
in Laterano e san Pio, due incarichi che sento come una ulteriore
grande occasione per me; si tratta di una nuova possibilità per
dire totalmente sì a quel Gesù che ho scelto e che vorrei diventasse
sempre più l’unico bene della vita.
Per questo, nell’attesa di incontrarci, vi chiedo umilmente una
preghiera.
Don
Cesare
TRE
PAESI, DUE DESERTI
“Quale gioia quando mi dissero: andremo alla casa
del Signore. Già sono fermi i nostri piedi alle tue porte, Gerusalemme”
(Salmo 121).
Ho
provato una grande gioia e una profonda emozione quando don Giuseppe
lo scorso autunno ha espresso la sua intenzione di compiere un
viaggio in Giordania, Israele, Palestina e nei deserti dell’Esodo.
Anche se la complessa situazione politica dell’Egitto non ci ha
permesso di raggiungere il Sinai, tuttavia abbiamo potuto percorrere
il deserto del Wadi Rum e quello del Neghev, e prepararci ad assaporare
la bellezza dolce insieme ed aspra, solenne e umile della Città
Santa.
Venerdì 30 agosto, dopo una visita alla città di Amman, eccoci
al monte Nebo, da cui Mosè vide prima di morire la Terra Promessa,
dopo i quarant’anni nel deserto. Secondo la Scrittura su questo
monte Mosè fu sepolto, ma nessuno ha mai scoperto dove sia la
sua tomba, e forse proprio per questo sembra di percepire ovunque
la sua presenza nel silenzio e nella luce di quel luogo Santo.
Dal monte Nebo la vista si perde lontano verso il mar Morto, il
Giordano, Gerico, ma i nostri occhi cercano soprattutto Gerusalemme
a cui noi pellegrini del 2000 attendiamo di giungere con un profondo
desiderio. L’impressione che mi segna profondamente è quella di
sentire la vicinanza di un tempo lontano, tempo che per un momento
sembra annullarsi: il tempo della storia si confonde con il tempo
dello spirito. La celebrazione della S. Messa nel ricordo di Mosè
è uno dei momenti più toccanti per il cuore e più appaganti per
lo spirito che abbiamo vissuto insieme. Ancora assorti nella suggestione
del luogo che induce a meditare su come è lungo e non facile il
cammino dell’uomo che cerca, riprendiamo il viaggio verso sud
per giungere a Madaba, città di mosaicisti dove ancora oggi è
un’importante scuola di mosaico e dove nella Basilica greco bizantina
di San Giorgio ammiriamo increduli lo splendido mosaico del VI
secolo D.C., raffigurante una mappa della Palestina realizzata
con il contributo di mosaicisti provenienti dall’est, che ben
conoscevano ogni particolare dei luoghi. La mappa non è soltanto
un documento geografico ma anche un’opera d’arte per i colori
e la ricchezza di particolari, come ad esempio i pesci che risalgono
il Giordano fuggendo dal mar Morto. Essa è anche una testimonianza
religiosa, una sorta di “guida del pellegrino” raffigurante i
luoghi santi come quello del Battesimo di Gesù, Gerico, Betania,
Betlemme, Gerusalemme.
Continuando
il viaggio, il paesaggio attorno a noi diventa sempre più desertico,
fino a quando ci appaiono aride montagne dalle morbide forme che
si ergono dalla sabbia e che nascondono il grande tesoro che è
Petra. Ci accoglie uno splendido albergo dal quale possiamo godere
la vista delle montagne illuminate dalla luce rossa del tramonto.
Ed eccoci a Petra, gioiello nascosto tra le montagne, un tempo
ricchissima capitale dei Nabatei al centro dei commerci carovanieri,
la cui visita ci impegna per una intera giornata: attraverso il
Siq, lunga spaccatura tra le montagne, raggiungiamo il Tesoro,
che appare, inondato dal sole, dopo l’ultima curva del lungo percorso
tra le rocce. Circondati da beduini, asini, dromedari e giovanissimi
venditori di ogni sorta di oggetti ricordo, sotto un sole cocente
visitiamo le antiche rovine. Il luogo, per secoli rimasto nascosto
e riscoperto solo nell’Ottocento, offre numerosissime attrazioni
archeologiche e splendidi scorci panoramici. La serata è dedicata
alla reciproca presentazione dei partecipanti al viaggio, e questa
conoscenza si rivelerà molto proficua perché il gruppo diventerà
sempre più affiatato e amichevole nel rispetto gli uni degli altri:
abbiamo camminato insieme, a volte sostenendoci e cercando di
essere di aiuto a due compagne di viaggio giunte in Terra santa
doloranti, ma che coraggiose e tenaci non hanno disertato alcun
luogo del pellegrinaggio.
La
tappa successiva ci porta al Wadi Rum (valle di sabbia), nel cuore
del deserto che impariamo a conoscere dalle parole della nostra
guida giordana Omar. E’ domenica e un’ esperienza nuova ci attende:
raggiungeremo in Jeep il luogo del comando arabo-inglese durante
la spedizione condotta da Lawrence d’Arabia . E’ qui che cominciamo
a capire cosa è il deserto. Per molti di noi è stato questo uno
dei momenti più significativi e toccanti del cammino che ci prepara
all’incontro con Gerusalemme: la celebrazione della Santa Messa
all’interno di una grande tenda di beduini che ci accolgono con
silenziosa e discreta affabilità.
Seguendo il percorso di Laurence d’Arabia raggiungiamo Aqaba,
sul mar Rosso, dove attraversiamo il confine e lasciamo la Giordania
per entrare in Israele. L’ocra del deserto si confonde con quella
delle rocce mentre percorrendo le rive del mar Morto ci dirigiamo
verso Masàda. Lungo il percorso fiancheggiato da mucchi di sale
luccicante vediamo il luogo in cui la tradizione colloca Sodoma
e Gomorra. La sagoma di una donna delineata dalla montagna ricorda
la moglie di Lot, divenuta una statua di sale.
Masada si erge grandiosa e terribile in cima ad una montagna impervia
e arida . Nella possente rocca costruita da Erode il Grande ,
dopo la distruzione dei Gerusalemme ad opera di Tito nel 70 D.C.,
si rifugiarono e resistettero ai Romani per tre anni un migliaio
di Zeloti che , dopo una difesa tenace ma senza speranza, secondo
il racconto di Giuseppe Flavio, presero la terribile decisione
di suicidarsi in massa per morire liberi ed evitare l’empietà
della prigionia Romana. Altri Ebrei, gli Esseni, una comunità
rigorista di uomini puri che vivevano come monaci dediti alla
copiatura delle Scritture, nell’imminenza della disfatta, avevano
nascosto i rotoli della Bibbia all’interno di giare di terracotta
nelle grotte di Qumran, località sulle pendici dei monti sulla
sponda occidentale del mar Morto. Qumran era un luogo sacro, lo
testimonia la presenza di numerose vasche per la purificazione,
e fu distrutta da Tito nel 68 D.C. I manoscritti, così previdentemente
nascosti si sono conservati fino ai nostri tempi e sono stati
ritrovati solo nel 1947 per puro caso, avendo un pastore gettato
un sasso in una grotta per richiamare una pecora smarrita, e avendo
per caso colpito una giara : evento di straordinaria importanza
archeologica e religiosa, poiché i manoscritti del I secolo hanno
permesso la conferma del contenuto di molti testi dell’Antico
Testamento, fino ad allora noti solo per mezzo di copie di epoca
medioevale. La missione degli Esseni era la custodia della parola
di Dio, che deve accompagnare ogni momento della nostra vita;
essa deve essere “lampada ai miei passi, …. luce sul mio cammino“
(Sal 118) : un insegnamento per noi in questo viaggio .
Dopo
un bagno ristoratore nel mar Morto, proseguiamo la nostra strada
verso nord e raggiungiamo il Giordano, che ci appare come un fiumiciattolo
di un verde intenso,fiancheggiato da canne .Raggiungiamo emozionati
il luogo dove la tradizione vuole sia avvenuto il battesimo di
Gesù (in realtà si trattava di un rito di purificazione) da parte
di Giovanni Battista. Da questo episodio inizia l’attività pubblica
di Gesù, che prima di cominciare la sua predicazione pretende
(Giovanni si era schermito) il bagno purificatore.
Ecco Gerico, forse la città più antica del mondo (gli archeologi
hanno attribuito il sito a 10.000 anni fa), fertile e verdeggiante
grazie alle sorgenti sotterranee, ricca di piante di datteri e
sicomori. Quale occasione migliore per acquistare datteri e i
piccoli frutti di sicomoro magari da gustare nel pranzo di Natale
ricordando questo straordinario momento? Tappa obbligata nel percorso
da nord verso Gerusalemme, Gerico fu molte volte attraversata
da Gesù. La guida ci mostra un grande sicomoro indicato come quello
sul quale Zaccheo era salito per vedere Gesù (Lc 19, 1-10). Non
importa se il sicomoro sia veramente quello su cui salì Zaccheo,
quello che importa è che siamo nel luogo in cui Gesù “si lasciò
trovare”. Zaccheo era un pubblicano ma aveva una inquietudine
interiore e l’incontro con Gesù lo portò in effetti alla conversione.
I veri cercatori di Gesù sono coloro che sono disposti a cambiare
e lo incontrano.
Il
viaggio nel deserto e la sosta a Gerico ci ha preparati alla salita
verso Gerusalemme, che ci appare sul far della sera splendida
con le sue innumerevoli chiese e moschee. La prima tappa il mattino
successivo è la spianata ove sorgeva il Tempio, ora dominata da
due meravigliose moschee, quella detta “lontana” (Al-Aqsa) e la
“cupola della roccia” detta anche di Omar. La prima, la cui facciata
era un tempo grandiosamente costituita da quattordici archi, è
secondo la religione musulmana quella da cui Maometto iniziò il
suo viaggio verso il cielo per ricevere le istruzioni della preghiera.
La seconda, decorata di mosaici blu e oro, domina la spianata.
Questo era il luogo del tempio, prima quello di Salomone, distrutto
dai Babilonesi, poi quello di Erode distrutto dai Romani. Il luogo
del “Sancta Sanctorum”, ove si trovava l’arca dell’alleanza coincide
proprio con il luogo della moschea di Omar. E’ il monte Sion,
il luogo dove Abramo portò Isacco per il sacrificio e ricevette
la promessa della discendenza. E’ il “luogo di Dio”(Salmo 86),
il centro della religione ebraica, cristiana e musulmana. Nonostante
le differenze e le lotte, in questo luogo si sente forte la presenza
del Dio unico: “ la più santa delle dimore dell’ Altissimo: Dio
è in mezzo ad essa “ (Salmo 46). Mi ha commosso in quella spianata
sentire ed essere certa della presenza eterna di Dio e sentirmi
parte della storia che ha in questo luogo le sue radici. Ero esitante
di fronte al Muro del Tempio, quasi non mi appartenesse, ma poi
mi è stato naturale pregare vicino a donne di diversa religione
e sentire la meraviglia del riconoscerle tutte figlie dello stesso
Padre. Forse è questo il miracolo di Gerusalemme .
Il
dolore del popolo ebraico si rinnova terribilmente per la Shoah
alla memoria della quale è dedicata la collina di Yad Wa–Shem
(espressione che significa “un posto, un nome” tratta da Isaia
56,5). L’architettura triangolare del Museo, essenziale ed imponente
al tempo stesso, simboleggia la stella di David “dimezzata“. Il
percorso straziante invita alla riflessione e alla preghiera per
tutte le vittime di genocidi senza senso. Ma il momento per me
più difficile è stato quello dell’ingresso nel profondo buio della
Galleria dei Bambini, illuminato da lucine riflesse da una sola
candela, mentre una voce lontana pronuncia i nomi dei piccoli.
Non c’è spiegazione o sollievo a tanto dolore. L’unica luce è
il Viale dei Giusti che illumina la strada per ogni uomo di buona
volontà. Di fronte a tanto dolore resta soltanto la “speranza
della croce”.
A Gerusalemme percorriamo la Via Crucis in mezzo a una folla vociante
e agitata. Il contesto chiassoso in cui camminiamo doveva essere
molto simile a quello in cui Gesù portò la croce verso il Calvario.
Una piccola piazza che si apre dopo l’ultima stradina ci porta
alla basilica del Santo Sepolcro. Qui all’interno si venerano
sia il luogo della sepoltura e della resurrezione, sia il luogo
della crocifissione. Entrambi sono nascosti da anguste cappelle
riccamente addobbate e circondate da lampade, icone e abbellimenti
di vario stile, tanto che ciò che ci appare all’interno di esse
difficilmente assomiglia a quei luoghi che ci siamo immaginati
leggendo i Vangeli. Ma non è una delusione, perché comunque quando
finalmente riusciamo ad arrivare davanti al Sepolcro e al luogo
del Calvario, l’emozione che ci prende è grandissima. Molti di
noi hanno sentito il bisogno di ritornarci nei giorni successivi,
quando superato ormai il disagio per tutto ciò che intorno ad
essi è stato aggiunto, più forte è diventata l’emozione per l’essere
a contatto con i luoghi più sacri della nostra fede. Celebriamo
la Santa Messa in una cappella laterale.
Saliamo
sul Monte degli Ulivi, facendo tappa nel luogo dell’Ascensione,
testimonianza di una tradizione antichissima che vuole che qui
sia avvenuto l’ultimo atto della permanenza del Signore sulla
terra.
Sulle pendici del Monte degli Ulivi, di fronte alla collina di
Gerusalemme e al tempio c’è il luogo in cui Gesù pianse per la
sorte di Gerusalemme, il “Dominus Flevit”: ciò che colpisce il
visitatore è la splendida vista di Gerusalemme che portò Gesù
alla commozione al pensiero della sua distruzione.
Impressionante è l’immenso cimitero ebraico, che occupa tutto
il monte sul versante che si affaccia verso Gerusalemme. Separa
i due monti la valle del Cedron o di Josefat, dove secondo l’antica
scrittura avverrà il giudizio universale. Alzando lo sguardo si
vedono gli archi sul limitare della spianata del Tempio, “bilance”
costruite dai musulmani per pesare le anime nel giorno del giudizio.
Grande
emozione suscita in noi la visita del Getsemani, l’orto degli
ulivi in cui Gesù pregò intensamente la sera della sua cattura,
e in cui i discepoli mostrarono tutta la loro inadeguatezza umana
non essendo neppure capaci di restare svegli in un momento così
drammatico. Il luogo è bello e ricco di fascino, colpisce la vista
di alcuni ulivi bimillenari, dal tronco mastodontico. Nella adiacente
chiesa delle Nazioni abbiamo sostato in preghiera di fronte alla
roccia sulla quale secondo l’antica tradizione Gesù avrebbe pianto
lacrime di sangue nell’imminenza della sua passione (Matteo 14,
32-42).
La
incapacità umana di essere fedele di fronte al Dio che si fa uomo
e sperimenta la più umana delle tragedie che è la morte, rivive
nel ricordo del rinnegamento di Pietro, nel luogo in cui Gesù
fu portato dopo la cattura e in cui Pietro per tre volte negò
di conoscerlo, luogo oggi chiamato “San Pietro in Gallicantu”.
Era la casa di Caifa, sotto la quale si trovavano le prigioni
in cui Gesù fu tenuto la notte della sua cattura.
La visita del Cenacolo rappresenta un altro momento forte del
nostro pellegrinaggio. Qui Gesù istituì l’eucarestia e il sacerdozio,
qui Gesù apparve ai discepoli smarriti e offrì le Sue piaghe per
la verifica di San Tommaso, e qui ancora gli apostoli ricevettero
lo Spirito Santo nelle Pentecoste. Luogo strano, perché originariamente
posto sopra una sinagoga, poi divenuto chiesa bizantina, e quindi
moschea oggi possesso degli israeliani che non consentono celebrazioni
religiose. Ma il pensiero di ciò che lì avvenne permette di superare
le contraddizioni della storia e di rivivere momenti essenziali
della vita terrena di Cristo e di sentire il suo amore per noi
che si rende vivo nell’Eucarestia.
Ultima meta del nostro straordinario viaggio in Terra Santa è
Betlemme, la città di Davide e pertanto il collegamento genealogico
tra Gesù e le sue origini ebraiche. La visita alla basilica della
Natività ci offre l’immensa emozione di chinarci e pregare di
fronte al luogo della nascita del Salvatore. Celebriamo la Santa
Messa nella cappella in cui San Gerolamo trascorse molti anni
traducendo la Bibbia in latino, e in quella che sarà l’ultima
omelia di questo viaggio, don Giuseppe riprendendo una parola
del santo ci dice che l’ignoranza della Scrittura è ignoranza
di Cristo e quindi lontananza da Lui: un invito per tutti noi
a leggere e a conoscere le scritture per viverle.
Conclude
il nostro cammino l’interessantissimo e importante incontro con
Mons. William Shomali, vescovo ausiliare del Patriarca Latino
di Gerusalemme, che ci accoglie e ci illustra con chiarezza la
difficile e complessa situazione medio-orientale in cui il rischio
dell’islamizzazione è molto forte, sottolineando come il dialogo
tra le diverse religioni possa dare un grande contributo alla
pacificazione. Il pensiero della difficile situazione politica
mondiale ci riporta alla realtà ma rimane in noi la gioia di questo
esperienza. Come dice il Salmo “ Davvero beato chi decide nel
suo cuore il Santo Viaggio”.
Anna
Elisa Broli Riva
UN
ANNO DOPO
E'
passato un anno dalla morte del cardinal Martini, e non ci sembra
vero che sia già così tanto tempo. Ma, appena ci fermiamo a pensare,
ci accorgiamo di quanti segni di trasformazione sono comparsi
nella chiesa in questo stesso anno.
Così
non si può ricordare Carlo Maria Martini senza la consapevolezza
di questi dodici mesi, perchè questi eventi aggiungono una chiave
di rilettura e di interpretazione della sua figura .
Il
16 marzo scorso partecipammo ad un convegno dal titolo “Martini,
uomo tra gli uomini, uomo di Dio”. L'intenzione era quella di
raccogliere voci, ricordi, esperienze, testimonianze, comprensioni
e interpretazioni della sua figura. L'obiettivo quindi non era
quello di inquadrare la persona e definire il suo ruolo, ma quella
di lasciarci nuovamente stupire e affascinare dalla narrazione
che i singoli relatori facevano di lui.
Un evento non prevedibile fece da valore aggiunto : da pochi giorni
era stato eletto papa Francesco. Realizzammo subito che proprio
nell'oggi che stavamo vivendo,stavano per compiersi molte cose
che Martini ci aveva fatto sperare, coltivandole dentro di noi
con il suo insegnamento e la sua vita.
Adesso,
dopo un anno, ci troviamo qui a ricordarlo con gli stessi sentimenti
, gli stessi ricordi, ma con una consapevolezza ancora maggiore
del suo ruolo profetico, quello degli “anni di Gerusalemme e di
Gallarate”, come dice Vito Mancuso.
Col passare dei mesi abbiamo assistito a decisioni e visto gesti,
che mai avremmo immaginato di vedere e udire: primato della Coscienza,
giustizia per i poveri, discernimento invece di giudizio. Stima
per ogni uomo, a cominciare dai più deboli, poveri, emarginati
ci parlavano di fiducia nello Spirito che è dentro in ciascuno.
Parole che hanno sempre fatto parte della tradizione della chiesa,
ma che oggi hanno assunto una forza e un primato che ci sembrano
essere doni dell' intercessione di padre Carlo che ora vede “faccia
a faccia”.
Per
questo, dopo un anno, ci piacerebbe ricordare padre Carlo non
rimanendo fermi ai ricordi di quegli anni, ai “nostri” ricordi,
ma continuando a camminare nell'oggi.
“Non mitizzarmi” disse una volta Martini a Silvia Giacomoni. E'
sempre facile il rischio della mitizzazione , del congelamento
della sua figura, la riduzione a immaginetta e, infine, il disinnesco
del suo potenziale creativo, profetico.
Sarebbe rischioso circoscrivere in una sola istantanea il passaggio
di Carlo Maria Martini nella chiesa, riducendolo ad una sola dimensione,
magari quella preferita da una chiesa prudente, quella che lo
renderebbe innocuo per il futuro. Che non sia innocuo lo dimostrano
le centinaia di fiammelle che ostinatamente hanno continuato e
continuano ad accendere anonimi visitatori della sua tomba, il
fiore fresco quotidiano appoggiato in terra, e soprattutto il
germogliare insperato di nuovi segni nella chiesa .
La
fedeltà alla sua amicizia e al suo passaggio tra noi ci impone
di non dimenticare, perchè come diceva il grande maestro ebreo,
lo zaddiq Baal Shem Tov:
“ la dimenticanza conduce all'esilio, ma la memoria conduce
alla redenzione “
Con
riconoscenza e affetto sempre
Ornella e Federico Zanda
DOMENICA
6 OTTOBRE 2013
FESTA
DELL’ORATORIO
PER SALUTARE DON PAOLO e DON GIUSEPPE jr.
Programma
Alle
ore 11.00 e non alle ore 10.00 S. MESSA dei ragazzi e delle famiglie
(viene sospesa la Messa delle ore 12.00)
Ore 12.30 Pranzo insieme
Nel pomeriggio giochi per tutti
Per
quel giorno sarà chiuso al traffico un tratto di via Pinturicchio.
Potremo godere della strada tutto il giorno!
Per il pranzo: Ogni famiglia è invitata a portare un secondo (tipo
torta salata) o un dolce, da condividere con gli altri! Sono gradite
bevande.
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